Per la prima volta al mondo un paziente affetto da una rara malattia genetica ha riacquistato la vista grazie a una terapia genica innovativa sviluppata e applicata interamente in Italia. Il trattamento, sperimentale ma già portatore di risultati concreti, è stato somministrato a un uomo di 38 anni affetto dalla sindrome di Usher di tipo 1B, una patologia ereditaria che compromette in modo progressivo e irreversibile la vista e l’udito. A distanza di un anno dall’intervento, il paziente è tornato a vedere, segnando un passaggio decisivo nella lotta contro le malattie retiniche rare e offrendo nuove prospettive terapeutiche per pazienti in tutto il mondo.
Il risultato è stato ottenuto dalla Clinica Oculistica dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, centro ospedaliero e universitario con sede a Napoli, dove è stato eseguito il primo intervento al mondo su un essere umano con questa nuova tecnologia. La terapia è stata sviluppata dall’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) di Pozzuoli, un centro di ricerca avanzata che negli ultimi anni si è distinto a livello internazionale per l’innovazione nel campo delle patologie genetiche rare.
Il paziente, un uomo italiano di 38 anni che aveva ormai perso la capacità di distinguere volti, oggetti e ambienti anche in condizioni di luce favorevole, oggi ha recuperato una buona funzionalità visiva. Riesce a muoversi autonomamente, a leggere i sottotitoli in televisione e a svolgere attività quotidiane con una sicurezza impensabile fino a poco tempo fa. I miglioramenti sono iniziati già dopo due settimane dall’intervento, che si è svolto in anestesia generale e con una tecnica minimamente invasiva.
Il trattamento si basa su una tecnologia a doppio vettore, ovvero sull’iniezione di due virus modificati sotto la retina del paziente. Questi vettori virali trasportano due porzioni complementari del gene MYO7A, responsabile della produzione della proteina che, se assente o difettosa, porta alla degenerazione della retina e alla perdita della vista. Una volta all’interno delle cellule bersaglio, le due parti del gene si ricongiungono e iniziano a produrre la proteina mancante. Questo approccio ha permesso di superare i limiti tecnici delle terapie geniche precedenti, che non riuscivano a trasportare geni di grandi dimensioni come quello implicato nella sindrome di Usher.
I primi dati clinici sono stati presentati presso la sede del Rettorato dell’Università “Vanvitelli”, alla presenza di medici, ricercatori, istituzioni sanitarie e rappresentanti del Ministero della Salute. Il risultato italiano è il primo su scala mondiale ad avere dimostrato l’efficacia clinica di questa innovativa piattaforma terapeutica, in uno studio che prosegue attualmente sotto la supervisione di AAVantgarde Bio, azienda biotech nata come spin-off dello stesso Tigem e oggi sponsor dello studio clinico internazionale denominato “Luce-1”.
All’interno di questo studio di fase I/II, sono già stati trattati altri sette pazienti presso il centro napoletano, tra ottobre 2024 e aprile 2025. I risultati preliminari confermano la sicurezza e la tollerabilità del trattamento, anche in presenza di lievi episodi infiammatori oculari, gestiti con terapie corticosteroidee. A breve saranno coinvolti altri sette pazienti, alcuni dei quali riceveranno anche una terza dose del farmaco, nell’ambito della prosecuzione della sperimentazione.
Parallelamente, lo studio “Luce-1” è stato attivato anche in altri due importanti centri europei: il Moorfields Eye Hospital e la Retina Clinic di Londra. Tuttavia, a oggi, è l’Italia ad avere trattato il maggior numero di pazienti, a conferma della centralità del polo campano nella sperimentazione di terapie genetiche per le malattie oculari rare.
A sottolineare il valore della scoperta è stata la professoressa Francesca Simonelli, responsabile del Centro per le terapie avanzate oculari dell’Università Vanvitelli, che ha dichiarato come questa tecnologia possa aprire la strada a nuovi approcci terapeutici anche per altre patologie ereditarie dell’occhio, finora non affrontabili con le metodiche convenzionali.
Il direttore del Tigem, Alberto Auricchio, ha rimarcato l’importanza di oltre dieci anni di ricerca scientifica continua, senza la quale non si sarebbe potuti giungere a un risultato tanto significativo. Ha inoltre evidenziato il ruolo della collaborazione tra scienza di base, clinica e impresa biotech, che ha permesso il passaggio dalla scoperta scientifica alla sperimentazione concreta sul paziente.
Presente all’incontro anche Maria Rosaria Campitiello, in rappresentanza del Ministero della Salute, che ha voluto evidenziare come il successo sia stato reso possibile anche grazie al sostegno pubblico alla ricerca, in particolare tramite fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Questi investimenti mirano proprio a trasformare le innovazioni di laboratorio in cure accessibili ai pazienti e in tecnologie che possano essere impiegate a livello sanitario su larga scala.
Il paziente, oggi in grado di lavorare e vivere autonomamente, ha espresso gratitudine verso l’équipe medica e i ricercatori che hanno reso possibile la sua rinascita visiva. Ha raccontato come fino a poco tempo fa vedesse solo forme sfocate e ombre indistinte, mentre oggi può godere dei dettagli del mondo circostante, una possibilità che pensava ormai perduta.
La sindrome di Usher di tipo 1B rappresenta una delle condizioni più invalidanti tra quelle legate alla degenerazione della retina. Colpisce già dalla nascita con sordità profonda e, con il tempo, porta a una perdita progressiva della vista fino alla cecità completa. Finora, non esisteva alcuna cura efficace. Il risultato ottenuto a Napoli rappresenta dunque una svolta concreta e tangibile non solo per i pazienti affetti da questa specifica patologia, ma per l’intero settore delle malattie genetiche oculari, spesso orfane di trattamento.
Con questa scoperta, Napoli e la Campania si pongono all’avanguardia nel panorama della medicina genetica e delle terapie avanzate, non più solo come laboratori di ricerca, ma come luoghi dove la scienza diventa cura, e dove anche una diagnosi infausta può trasformarsi, con la forza della conoscenza e della tenacia, in una speranza reale di guarigione.
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