Il 23 novembre 1980, un devastante terremoto scosse l'Irpinia, lasciando dietro di sé una scia di distruzione che causò la perdita di 2.914 vite e la demolizione di numerosi paesi. Napoli, pur non essendo il fulcro principale del disastro, subì comunque crolli dovuti a edifici già fatiscenti o compromessi da tempo, oltre alle vecchie abitazioni in tufo. Quella sera alle 19:34, quando la terra iniziò a tremare per un'agonizzante durata di 90 secondi.
Via Ciro Improta |
Anche a Secondigliano, la notte del terremoto diventò un momento di paura e paralisi. Le strade erano impraticabili per le auto, costringendo le persone a muoversi esclusivamente a piedi. Corso Secondigliano e le vie limitrofe si trasformarono in un caos di traffico, rendendo complicati gli sforzi di soccorso, specialmente per chi risiedeva in edifici particolarmente vulnerabili.
Sebbene il bilancio dei danni a Secondigliano fosse significativo, non raggiunse le tragiche proporzioni di altre zone colpite. Tuttavia, 347 edifici furono dichiarati inagibili, mentre altri 147 risultarono parzialmente agibili. Furono effettuati 210 interventi di puntellamento urgente per prevenire crolli imminenti.
Un anno dopo il sisma, un censimento comunale rivelò numeri sconcertanti: 1700 persone vivevano abusivamente nelle case del rione 167, 798 si rifugiavano nelle scuole pubbliche, 1596 cittadini erano sistemati negli alberghi lungo il litorale domizio, e 171 vivevano nei container del campo bipiani di viale delle Galassie, area che oggi ospita il Parco San Gaetano Errico.
La Circoscrizione di Secondigliano, guidata all'epoca da Dino Quagliotti, svolse sopralluoghi per la verifica dei danni strutturali, collaborò con volontari e chiese per garantire il sostentamento alle famiglie in difficoltà e studiò soluzioni abitative alternative. In più occasioni, la Circoscrizione riuscì a mitigare tensioni sociali che avrebbero potuto generare seri problemi pubblici.
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