Secondigliano si è fermata, per davvero. Non con proclami, non con annunci ufficiali, ma con quel silenzio riconoscibile solo nei quartieri popolari quando va via qualcuno che non era semplicemente una persona conosciuta, ma un pezzo di memoria collettiva. Un volto familiare, una presenza quotidiana, un riferimento umano che apparteneva alle strade prima ancora che alle famiglie. Elvira Carriola, 79 anni, è morta a causa di un infarto improvviso, lasciando un vuoto profondo tra chi ha attraversato almeno una volta le strade del Quadrivio, della zona delle Case Celesti, dei vicoli dove ogni conoscenza si salda in legami che sembrano piccoli, ma diventano eterni.
Elvira non era un personaggio pubblico nel senso tradizionale del termine, ma a Secondigliano era impossibile non conoscerla. Impossibile non averla incrociata almeno una volta, impossibile non aver scambiato con lei una parola, un saluto, un sorriso. Piccola di statura, grande nella presenza, aveva lavorato per decenni con quella dedizione silenziosa che non richiede riconoscimenti perché si auto-legittima nel quotidiano. Per anni, il suo “negozietto” all’interno del Rione Case Celesti era stato un punto di riferimento per chi viveva quella parte di quartiere, non un semplice luogo di scambio economico ma un presidio umano, un piccolo crocevia di storie, abitudini, confidenze e rituali di routine che costruiscono l’identità sociale anche più dei monumenti.
Ancora prima, in una Secondigliano diversa ma già febbrilmente viva, Elvira aveva venduto spighe e pane nei pressi del bar California, punto simbolico del rione, luogo cerniera tra generazioni, punto di ritrovo, osservatorio spontaneo della vita collettiva. In quel contesto, che chi cresce o vive da queste parti conosce bene, non si vendeva solo merce, si scambiavano parole, notizie, lamentele, speranze. Si partecipava, anche inconsapevolmente, alla costruzione di una comunità. E lei, a modo suo, di quella costruzione è stata artigiana paziente.
La sua figura apparteneva a quella categoria umana che non ha bisogno di auto-narrarsi per essere conosciuta: sono gli altri a raccontarla, anche quando non ci sono più. Per questo non sorprende che la notizia della sua morte abbia immediatamente attraversato Secondigliano, Miano, Scampia, rimbalzando nelle chat di quartiere, nelle conversazioni al portone, nei bar, tra chi l’ha salutata mille volte senza mai fermarsi davvero a pensare a quanto fosse radicata in quelle giornate che sembrano sempre uguali finché non viene a mancare qualcosa o qualcuno a renderle riconoscibili.
Negli ultimi anni, il suo volto era diventato noto anche al di fuori del quartiere grazie alla musica. Il rapper Geolier, simbolo contemporaneo della Napoli nord che emerge e si racconta, l’aveva voluta nel suo videoclip “Bella e brutta notizia”, consegnandola a una popolarità non ricercata ma accolta con l’ironia e la naturalezza di chi non recita mai una parte, perché interpreta solo se stessa. In quelle immagini non c’era una comparsa, ma una donna che rappresentava l’anima vera di Napoli nord, quella che non si costruisce in studio ma vive nelle strade, tra le botteghe, nei micro-mondi che non hanno bisogno di essere spiegati a chi li abita.
Nel pomeriggio di oggi, giovedì 7 novembre, il corteo funebre si è mosso dal Quadrivio di Secondigliano, attraversandolo come un fiume lento fatto di persone, sguardi, memorie. Una cerimonia non ufficiale ma potentemente identitaria, perché quando un quartiere riconosce i suoi figli, non ha bisogno di inviti formali. Tanti si sono affacciati dai balconi, molti sono scesi in strada, altri hanno seguito a distanza, con quel rispetto istintivo che accompagna i commiati popolari. Le esequie sono state celebrate alle 15.30 presso la chiesa del Rione Don Guanella, punto di connessione tra Secondigliano, Miano e Scampia, un luogo simbolico che riflette la natura stessa di Elvira: una figura ponte, appartenente a un territorio senza confini rigidi, fatto di quartieri che si toccano, si somigliano, si riconoscono.
La sua scomparsa ha riportato al centro una riflessione che a Secondigliano si ripete sempre più spesso: sono le persone, molto più dei luoghi, a raccontare l’identità di un territorio. Le cronache parlano quasi sempre d’altro, ma la storia vera si scrive nei dettagli, nei volti, nelle abitudini, nelle testimonianze minime e nella memoria condivisa. Elvira Carriola apparteneva a quella genealogia invisibile di donne e uomini che hanno contribuito a costruire l’anima del quartiere senza mai chiedere nulla in cambio, ma ricevendo in eredità ciò che conta davvero: l’essere ricordati.
Sui social, nelle strade, nei gruppi di quartiere, il suo nome è circolato con messaggi brevi e spontanei, spesso non grammaticalmente perfetti ma carichi di verità: “Una donna di cuore”, “La salutavamo tutti”, “Faceva parte del quartiere”, “Mancherà a Secondigliano”, “Un simbolo del rione”. Nessun comunicato ufficiale potrebbe restituire con più precisione il senso della sua presenza.
E mentre il feretro attraversava il quartiere, in un pomeriggio che non ha avuto bisogno di telecamere per essere significativo, si è compreso ancora una volta che l’identità di Secondigliano non è solo nel racconto della cronaca, dei cantieri, delle difficoltà o delle trasformazioni, ma anche – e soprattutto – nella somma delle sue figure popolari, quelle che non compaiono nelle lapidi della memoria istituzionale, ma si incidono in quella più duratura: la memoria emotiva.
Il saluto a Elvira non è stato soltanto un addio. È stato un atto di riconoscimento collettivo. Una conferma, implicita ma potente, di come un quartiere continui a esistere e a riconoscersi nonostante tutto, grazie a chi lo vive, lo attraversa, lo racconta senza parole altisonanti, ma con la semplice costanza di esserci.
Alla sua famiglia, ai suoi cari, a chi ha condiviso con lei anni di quotidianità, vanno le condoglianze di una comunità intera. Non un quartiere qualunque, ma un luogo che, quando perde qualcuno come Elvira Carriola, non perde solo una concittadina: perde un punto cardinale, un frammento di sé.
Secondigliano ora la piange. E proprio nel pianto collettivo, la consegna alla sua forma più autentica di eternità: quella del ricordo popolare, che non svanisce. Resta. Come restano le persone che, pur nel silenzio di una vita semplice, hanno fatto rumore nella memoria di tutti.

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