A Secondigliano, quartiere spesso citato nelle cronache per la presenza dei clan storici della camorra, emerge una storia di legalità che merita di essere raccontata e diffusa con forza. In un contesto dove la pressione del racket rappresenta da decenni una minaccia costante per commercianti, artigiani e imprenditori, la scelta di un singolo può diventare un segnale capace di cambiare le cose. È il caso di Marco Carusone, imprenditore del settore edilizio, che ha deciso di denunciare senza esitazioni le richieste estorsive avanzate da esponenti del clan della Vanella Grassi. La sua testimonianza, raccolta dal TGR Campania nell’intervista realizzata da Vincenzo Perone, è un atto di grande valore civile perché dimostra nei fatti che denunciare è possibile, che lo Stato esiste e che le reti di protezione funzionano quando si ha il coraggio di affidarsi alle istituzioni. In un quartiere complesso come Secondigliano, dove convivono disagio sociale e una forte presenza di cittadini onesti che lavorano ogni giorno per migliorare il proprio futuro, la voce di un imprenditore come Carusone assume un significato che va oltre la sua vicenda personale.
Il racket, nella sua forma più classica legata al pagamento del “pizzo”, continua purtroppo a essere una delle principali fonti di finanziamento per i clan camorristici attivi a Napoli e in provincia. Le estorsioni non colpiscono solo le aziende più grandi ma soprattutto le piccole attività che non dispongono di risorse per far fronte alle minacce. È proprio su questi timori che le organizzazioni criminali fanno leva, imponendo con la forza una sorta di tassa occulta che mina la libertà economica e rallenta lo sviluppo del territorio. Per questo la denuncia di un imprenditore non è solo un gesto di ribellione individuale ma diventa un atto politico e sociale nel senso più alto del termine: significa rifiutare la logica del dominio e restituire dignità a chi lavora onestamente. Carusone ha spiegato di non essersi lasciato intimidire perché consapevole di poter contare sul sostegno delle forze dell’ordine e delle associazioni antiracket, che a Secondigliano rappresentano da anni un presidio fondamentale per chi decide di opporsi alle organizzazioni criminali. Il Commissariato di Polizia locale ha reagito con prontezza, avviando le indagini che hanno portato all’arresto degli emissari del clan responsabili delle richieste estorsive.
La sua testimonianza si inserisce in un percorso più ampio che vede Secondigliano sempre più protagonista di una trasformazione culturale e sociale guidata dal coraggio di chi sceglie la legalità. Esistono numerose realtà associative che da anni lavorano in sinergia con lo Stato per offrire assistenza legale, psicologica ed economica alle vittime di racket e usura, accompagnandole passo dopo passo nel difficile percorso che conduce dalla denuncia alla ricostruzione della propria attività. È importante sottolineare che chi denuncia oggi non viene lasciato solo e che gli strumenti di protezione sono reali, concreti e accessibili. Uno degli errori più diffusi è credere che denunciare equivalga a mettere a rischio la propria famiglia o la propria azienda, ma i fatti dimostrano che il rischio maggiore è rimanere in silenzio, perché il pagamento del pizzo non garantisce sicurezza, bensì alimenta un meccanismo che diventa sempre più soffocante. Le storie di chi ha avuto il coraggio di opporsi dimostrano che la camorra teme la luce, teme i nomi e le facce, teme la forza delle testimonianze pubbliche.
La vicenda di Carusone è dunque un tassello di un mosaico più grande che racconta un quartiere che non si arrende, che vuole scrollarsi di dosso l’etichetta di periferia segnata solo dalla criminalità e che giorno dopo giorno costruisce un modello basato sulla solidarietà e sulla collaborazione tra cittadini, imprenditori e istituzioni. Ogni denuncia produce un effetto positivo, ogni arresto contribuisce a indebolire i clan, ogni testimonianza pubblica incoraggia altri a fare lo stesso. La legalità non è un concetto astratto ma un percorso fatto di scelte concrete, a volte difficili ma necessarie per restituire dignità a un territorio che ha voglia di riscatto. È importante diffondere queste storie non per celebrare un singolo, ma per moltiplicare l’esempio, perché solo così si può spezzare la catena dell’omertà che per troppo tempo ha protetto chi vive di minacce e violenza. Il messaggio che arriva da Secondigliano è chiaro: denunciare è possibile, e quando qualcuno trova la forza di farlo, il silenzio si rompe e cambia il destino di un’intera comunità.
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