Secondigliano, oggi conosciuto come uno dei quartieri più popolosi e urbanizzati della periferia nord di Napoli, ha vissuto un tempo in cui era considerato una località amena, una vera e propria meta di villeggiatura per le famiglie napoletane che cercavano ristoro dal caldo cittadino e dalle insidie dell'ambiente urbano. Ben prima della sua annessione al Comune di Napoli nel 1926, questo territorio si distingueva per un’identità rurale marcata, una tradizione agricola radicata e un paesaggio collinare che ne faceva un’oasi di tranquillità e salubrità.
Il toponimo “Secondigliano” viene citato per la prima volta nel 1113, ma le sue origini, stando ad alcune fonti, risalirebbero addirittura all'epoca imperiale. Il casale, nel corso dei secoli, si è sviluppato attorno a un nucleo centrale identificabile con l’attuale zona di Piazza Zanardelli e delle vie limitrofe, mantenendo a lungo un'impronta agricola e pastorale. In epoca medievale, il borgo si inseriva nel sistema dei casali napoletani: insediamenti rurali dotati di una propria struttura economica e sociale, dove si praticava l'agricoltura su vasta scala e dove il rapporto tra nobiltà, chiesa e contadini regolava la distribuzione delle terre e delle rendite.
Durante la dominazione spagnola, l’aria considerata salubre e la fertilità delle sue terre iniziarono ad attrarre le famiglie benestanti e la piccola nobiltà napoletana, che vi costruirono le prime ville di campagna. Il clima mite, la distanza relativamente contenuta dal centro di Napoli, la presenza di numerose fontane alimentate dall’acquedotto del Serino e la qualità dell’acqua potabile, contribuirono a consolidare la reputazione di Secondigliano come meta ideale per trascorrere lunghi periodi di riposo. Gli abitanti, dediti per lo più all'agricoltura, erano noti per la loro longevità e laboriosità. Le coltivazioni di frutta, ortaggi, vino e grano garantivano il sostentamento non solo della comunità locale, ma anche della città di Napoli, di cui il casale era uno dei principali fornitori.
Nel XVII secolo, la fiorente economia agricola trovava ulteriore sviluppo nella lavorazione della seta e del lino. I gelseti coltivati lungo la via Appia, che collegava Secondigliano a Melito, alimentavano un'articolata filiera serica che raggiungeva i mercati più importanti del Regno di Napoli. Le donne erano impegnate nella lavorazione del lino e degli altri filati, mentre gli uomini si occupavano della commercializzazione. Non era raro che i tessitori locali esportassero le loro stoffe fuori regione o addirittura all’estero. In questo contesto produttivo si inserisce anche la figura di Maria Marseglia, madre del Santo Gaetano Errico, che operava come tessitrice, segno della vitalità artigianale e commerciale che animava il casale.
L’importanza economica del borgo si rifletteva anche nella sua autonomia amministrativa. Già nel 1642, grazie a una sottoscrizione popolare promossa dagli ambienti ecclesiastici e sostenuta dal benefattore Cosma Piscopo, Secondigliano riuscì a riscattarsi dalla messa in vendita da parte del governo spagnolo e ottenne lo status di Universitas, istituzione dotata di ampia autonomia e gestita da assemblee popolari. Questo spirito indipendente e partecipativo ha caratterizzato a lungo la comunità locale.
Nel XVIII secolo, le cronache raccontano di un paesaggio pittoresco e accogliente, con ville nobiliari circondate da agrumeti, giardini e vigneti. Le famiglie napoletane, in particolare quelle appartenenti alla borghesia e alla piccola nobiltà, sceglievano Secondigliano per le villeggiature estive, attratte dalla quiete del posto e dalla qualità dell’aria. Il maestro Russo, nel 1784, descriveva il borgo come un locus amoenus, un luogo idilliaco, molto apprezzato per le sue caratteristiche termali e naturalistiche.
Questo passato di luogo di villeggiatura non si limita a una semplice vocazione rurale. Secondigliano, con le sue strade regolari e lastricate, le fontane pubbliche, le ville padronali e i suoi spazi verdi, offriva un contesto urbano ordinato e salubre, ben distinto dalla congestione della città. Il corso principale, oggi noto come corso Secondigliano, divenne in epoca moderna il fulcro dell’espansione edilizia di fine Ottocento, con la costruzione di palazzi neoclassici e liberty che ancora oggi testimoniano un’epoca di splendore economico e sociale.
Fino agli anni ’50 del Novecento, Secondigliano mantenne intatta questa sua doppia anima: da un lato quartiere popolare in via di urbanizzazione, dall’altro luogo di gite fuori porta per i napoletani. Famiglie intere si recavano nel quartiere per pranzare in trattoria, respirare aria buona e godersi un paesaggio ancora integro, punteggiato da orti, vigne e animali da cortile. Arturo Capasso, scrittore nativo del luogo, racconta di un mondo semplice, ordinato, fatto di biciclette, galline, caprette e colombi, immerso in una dimensione quotidiana che oggi sembra lontana ma che ha costituito per decenni il tratto distintivo del quartiere.
La trasformazione radicale di Secondigliano iniziò nel secondo dopoguerra, quando i piani di edilizia popolare cominciarono a rimodellare il paesaggio urbano. Tra gli anni '50 e '60, la costruzione dei rioni INA Casa e Berlingieri e, più tardi, l'espansione verso l’area di Scampia, segnarono la fine del periodo rurale e l'inizio di un'urbanizzazione massiccia, destinata a rispondere alla domanda abitativa crescente. Il volto del quartiere cambiò rapidamente: il verde lasciò spazio al cemento, le trattorie alle palazzine popolari, i campi coltivati ai cantieri edili.
Tuttavia, nella memoria storica della comunità e nei documenti d’archivio, sopravvive l’immagine di un Secondigliano diverso, un luogo di villeggiatura, di lavoro onesto e di comunità solidale. Un luogo che ha saputo accogliere la nobiltà partenopea nelle sue ville d’estate, ma anche sostenere il peso delle crisi alimentari, delle guerre e delle calamità naturali. Un luogo che ha dato alla città di Napoli non solo risorse agricole e manifatturiere, ma anche esempi di coesione e autodeterminazione popolare.
Oggi quel passato sembra lontano, ma resta impresso nei nomi delle strade, nei ruderi delle masserie, nei racconti degli anziani e nei dettagli architettonici di alcuni edifici ancora esistenti. Riscoprire questa parte di storia non è solo un atto di memoria, ma anche un invito a guardare al futuro con maggiore consapevolezza delle proprie radici. Perché prima di essere periferia, Secondigliano fu giardino. Prima di essere sinonimo di disagio urbano, fu sinonimo di villeggiatura.
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