La comunità di Secondigliano si è stretta con profondo cordoglio intorno alla famiglia di Luigi Romano, uno dei tre operai morti nel tragico incidente avvenuto venerdì scorso in un cantiere al Rione Alto. Il funerale si è tenuto presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, dove fin dalle prime ore del mattino si è raccolta una folla composta non solo da parenti e amici, ma anche da semplici cittadini, scossi da quanto accaduto. L’arrivo della bara ha provocato un’ondata di commozione generale: grida di dolore, lacrime e silenzi carichi di significato hanno accompagnato i minuti più difficili. La moglie di Romano, sopraffatta dall’emozione, ha avuto un malore al momento in cui il feretro è giunto davanti alla chiesa; il carro funebre è stato chiuso per proteggerla da quella visione troppo dura da sopportare.
Luigi Romano aveva 67 anni, era originario di Arzano ma da tempo radicato nel tessuto di Secondigliano. Con lui, in quel tragico giorno, hanno perso la vita anche Ciro Pierro, 62 anni, e Vincenzo Del Grosso, 54 anni. Tutti e tre stavano lavorando su un’impalcatura quando, per cause ancora in fase di accertamento, il cestello sul quale si trovavano ha ceduto facendoli precipitare nel vuoto. Un crollo che ha spazzato via vite, sogni, progetti e che ha aperto l’ennesima ferita nel mondo del lavoro, ancora troppo spesso segnato da carenze in tema di sicurezza.
Durante il funerale, Carmela Romano, sorella della vittima, ha raccontato con voce rotta il momento dell’ultimo saluto al fratello. “Ha preso un caffè ed è andato via. Quella mattina l’ho abbracciato forte. Profumava, sembrava tornato da una vacanza, non sembrava una persona che stava andando a lavorare in un cantiere. Lo ricorderò sempre così. Non deve più succedere, queste persone non possono morire in questo modo. Ci vuole più sicurezza”. Parole semplici ma cariche di significato, che ben sintetizzano lo sgomento di chi resta e l’urgenza di un cambiamento profondo.
Il Comune di Arzano ha proclamato il lutto cittadino in concomitanza con la cerimonia funebre, un segno tangibile di vicinanza alla famiglia e di partecipazione al dolore collettivo. La sindaca Cinzia Aruta ha invitato la cittadinanza a sospendere le attività non strettamente necessarie durante il rito, per manifestare anche simbolicamente il rifiuto di un sistema che continua a permettere tragedie del genere. “Ogni tragedia come questa ci ricorda che la sicurezza non è un costo né un ostacolo, ma un diritto fondamentale e un dovere collettivo”, ha dichiarato la prima cittadina. “Serve un salto culturale: dobbiamo smettere di considerare la sicurezza come un problema e iniziare a viverla come condizione essenziale di ogni attività”.
Mentre il quartiere di Secondigliano accompagnava Luigi Romano nel suo ultimo viaggio, contemporaneamente a Calvizzano si svolgeva il funerale di Ciro Pierro, e per la giornata successiva era previsto quello di Vincenzo Del Grosso a Forcella. Tre comunità diverse ma unite dallo stesso dolore, dallo stesso senso di perdita e dalla stessa indignazione. A Calvizzano, come a Secondigliano, il feretro è stato accolto da una folla silenziosa, composta, commossa. Le chiese erano gremite, i marciapiedi occupati da cittadini che, pur non conoscendo personalmente le vittime, hanno voluto essere presenti, in segno di solidarietà verso le famiglie colpite.
Durante la funzione religiosa nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano, è stata letta una lettera inviata dall’arcivescovo di Napoli, monsignor Domenico Battaglia. “Oggi il nostro cuore, il cuore della nostra Chiesa napoletana, è attraversato da un dolore profondo per la morte di Vincenzo, Ciro e Luigi. Tre uomini, tre lavoratori, tre storie spezzate mentre con dignità guadagnavano il pane per vivere”, scrive il cardinale. “Erano in un cantiere, su un mezzo di sollevamento, ma in un attimo è crollato tutto: il cestello, il giorno, i sogni, le promesse. È crollato, ancora una volta, quel patto sacro che dovrebbe tenere insieme lavoro e sicurezza, fatica e dignità. Per questo non possiamo tacere”.
Parole forti che hanno risuonato con forza tra le pareti della chiesa e nei cuori dei presenti. Il cardinale ha ribadito che la tragedia non può essere considerata una semplice fatalità: “Questi nostri fratelli non sono morti per un caso. Sono stati uccisi da un’ingiustizia che ha nomi e responsabilità. Il lavoro deve offrire possibilità di vita e non rischio di morte. Deve promuovere la dignità, non mettere in pericolo. Chi lavora ha diritto a tornare. A tornare la sera, a tavola, con le mani sporche ma il cuore salvo. A tornare a stringere i figli, a salutare gli amici, a dire ‘ci vediamo domani’”.
Le parole dell’arcivescovo si fanno eco di un sentimento condiviso da molti: quello di un’urgenza non più rinviabile. La richiesta di giustizia da parte dei familiari di Luigi Romano e degli altri operai non si limita alla punizione di eventuali responsabili, ma chiede soprattutto un cambio di paradigma, un sistema che metta davvero la vita al centro. Anche nei giorni successivi al funerale, nel quartiere di Secondigliano così come ad Arzano e Calvizzano, il tema della sicurezza nei cantieri è stato al centro di molte conversazioni, di confronti tra cittadini, di riflessioni amare e necessarie.
Luigi Romano, come Ciro Pierro e Vincenzo Del Grosso, è diventato simbolo di una tragedia collettiva che interroga non solo le istituzioni, ma l’intero Paese. Non era un eroe, né cercava di esserlo: era un uomo che lavorava, che si guadagnava il pane onestamente e che un giorno, come tanti altri, è uscito di casa per non fare più ritorno. La sua storia, come quella degli altri due operai, merita di essere ricordata per impedire che tutto venga archiviato come un fatto isolato, come un incidente sul lavoro tra i tanti.
Il dolore delle famiglie non si attenuerà facilmente, ma il senso di responsabilità collettivo può fare in modo che da questa tragedia nasca almeno una nuova consapevolezza. Le vite spezzate di Luigi, Ciro e Vincenzo non possono essere vane. Spetta ora alle istituzioni, ai cittadini, ai datori di lavoro e alle organizzazioni sindacali raccogliere l’appello lanciato da queste morti: non voltarsi più dall’altra parte. Secondigliano, Arzano, Calvizzano e Forcella hanno già pagato un prezzo troppo alto. Ora, tocca al resto del Paese.
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