Un’indagine avviata nei mesi scorsi e culminata con una serie di arresti nel novembre passato ha fatto luce su un’organizzazione attiva nel perimetro penitenziario di Secondigliano, che secondo gli inquirenti avrebbe trovato nuovi sistemi per aggirare le misure di sicurezza del carcere e introdurre oggetti non consentiti. L’organizzazione, riconducibile al gruppo conosciuto con il nome di Vanella Grassi, avrebbe strutturato un vero e proprio canale tecnologico per rifornire i detenuti di materiale illecito, sfruttando apparecchi aerei telecomandati, in grado di eludere i sistemi anti-intrusione. Nei giorni scorsi si è conclusa l’udienza preliminare per diversi componenti del gruppo, i quali hanno scelto il rito abbreviato, accelerando così l’iter giudiziario.
Il fulcro dell’operazione ruotava attorno a un’attività di consegna sistematica: fino a quattro o cinque missioni al giorno, ciascuna delle quali prevedeva il volo di dispositivi a controllo remoto modificati appositamente per trasportare piccoli carichi, composti da apparecchi di comunicazione e sostanze non autorizzate. Il costo per ogni volo si aggirava intorno ai settecento euro, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, e l’intero meccanismo sarebbe stato coordinato da una figura centrale, identificata in Nico Grimaldi, affiancato da due donne considerate vicine: la madre Rita Pitirollo e la moglie Addolorata De Falco.
Secondo gli atti, gli invii avvenivano con regolarità, e i materiali introdotti risultano vari per tipologia e valore. Tra questi, telefoni cellulari di vecchia e nuova generazione, con prezzi che cambiavano in base alle caratteristiche tecniche: 300 euro per un modello base, fino a 1300 euro per i dispositivi connessi. Il tutto con un sistema sofisticato che prevedeva l’uso di droni in grado di mantenere una quota di volo elevata per evitare di essere intercettati, e un sistema a lenza per depositare i carichi nel cortile interno, al riparo da sguardi e strumenti di controllo.
La ricostruzione effettuata dalla Procura di Napoli, guidata da Nicola Gratteri, ha portato alla luce non solo l’aspetto logistico dell’operazione, ma anche la sua organizzazione economica. Ogni passaggio era infatti regolato da precise tariffe e da una struttura gerarchica con compiti ben definiti. I piloti dei dispositivi ricevevano un compenso specifico per ogni singola consegna, in un meccanismo che si ripeteva su base settimanale. L’uso della tecnologia, in questo caso, avrebbe rappresentato un’evoluzione nel modo in cui alcuni gruppi operano anche in contesti apparentemente isolati come quello carcerario.
Il materiale raccolto durante le indagini ha permesso di ricostruire decine di episodi simili e di identificare i soggetti coinvolti. Alcuni dispositivi sequestrati hanno confermato la presenza di registrazioni e comandi programmati in modo da eludere i sistemi di difesa elettronica installati attorno al penitenziario. Il tema della sicurezza negli istituti di detenzione ritorna così al centro dell’attenzione, insieme alla capacità di adattamento che alcune organizzazioni mostrano nel fronteggiare le nuove tecnologie con contromisure sempre più complesse.
Con la chiusura dell’udienza preliminare, il procedimento giudiziario passa ora alla fase dibattimentale, in cui verranno valutati nel merito i singoli comportamenti contestati. La scelta del rito abbreviato da parte di alcuni imputati potrebbe abbreviare i tempi e condurre rapidamente a una definizione delle responsabilità. Restano tuttavia aperti gli interrogativi su come sistemi tecnologici relativamente accessibili possano essere impiegati in modo così articolato e ripetuto, anche in uno degli istituti di detenzione più sorvegliati della Campania.
Il caso di Secondigliano si inserisce in un quadro più ampio, dove il rapporto tra tecnologia e controllo del territorio continua a rappresentare una sfida costante. La vicenda solleva domande sulla tenuta dei protocolli di sicurezza attuali e sull’opportunità di rafforzare gli strumenti di prevenzione, anche alla luce della creatività con cui vengono ideati metodi di elusione. Un aspetto che richiede un aggiornamento continuo non solo delle tecnologie impiegate dalle forze dell’ordine, ma anche dei modelli organizzativi adottati per garantire legalità e trasparenza in contesti complessi come quello penitenziario.
In attesa degli sviluppi del processo, la vicenda rappresenta un ulteriore segnale di come la capacità di coordinamento e adattamento continui a rappresentare un elemento fondamentale nel contrasto a pratiche illecite anche in ambienti chiusi. Secondigliano si conferma, ancora una volta, osservatorio privilegiato per capire le trasformazioni in corso all’interno di circuiti che intrecciano territorio, tecnologia e reti organizzate.