Otto smartphone completi di sim sono stati rinvenuti questa mattina tra le mura del Reparto Ionio del carcere di Secondigliano, durante una perquisizione ordinaria coordinata dalla direttrice Giulia Russo e dal vice comandante di reparto, dirigente della Polizia Penitenziaria, Roberta Maietta. Una scoperta che non solo riaccende i riflettori su un fenomeno tristemente noto, ma che conferma quanto la presenza di dispositivi elettronici all’interno delle strutture detentive italiane sia ormai una minaccia concreta e sempre più frequente. Il rinvenimento, che ha visto impegnato tutto il personale del reparto in una minuziosa attività di controllo, rappresenta un chiaro campanello d’allarme sulla facilità con cui strumenti di comunicazione illegali riescano a entrare in carcere, bypassando barriere di sicurezza e controlli interni. Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, per voce dei dirigenti sindacali Raffaele Munno e Donato Vaia, ha prontamente denunciato la gravità della situazione, definendola “già critica” e destinata a peggiorare, soprattutto in vista della prossima attivazione degli incontri intimi in ambienti ritenuti non idonei dal punto di vista della sicurezza e della sanità.
Secondo il SAPPe, quello che accade nelle carceri italiane non può più essere considerato un’eccezione, ma è ormai una routine pericolosa, segnale di un sistema che fatica a reggere l’impatto di tecnologie sempre più diffuse e facilmente reperibili, anche al di là dei muri di cinta. Gli smartphone rinvenuti oggi, perfettamente funzionanti e dotati di sim attive, erano nascosti all’interno delle pareti del reparto, dimostrando un livello di organizzazione da parte dei detenuti che non può più essere sottovalutato. La loro funzione va ben oltre il semplice contatto con familiari o amici: spesso vengono utilizzati per mantenere collegamenti con organizzazioni criminali all’esterno, impartire ordini, coordinare traffici illeciti e aggirare le regole penitenziarie. Una realtà pericolosa che rischia di mettere a repentaglio non solo l’ordine interno degli istituti, ma anche la sicurezza pubblica.
Il segretario generale del SAPPe, Donato Capece, ha lodato con forza l’operato della Polizia Penitenziaria, sottolineando come ancora una volta il corpo abbia dimostrato efficienza, dedizione e senso dello Stato. Capece ha però aggiunto che la professionalità degli agenti non può essere l’unica linea di difesa contro una minaccia che si fa sempre più sofisticata e pervasiva. Secondo il SAPPe, è indispensabile un intervento sistemico che preveda bonifiche ambientali periodiche, l’adozione di tecnologie avanzate per la rilevazione e l’inibizione dei segnali cellulari, oltre a un potenziamento urgente degli organici e una revisione dei protocolli di sicurezza interni. In un contesto in cui la popolazione carceraria aumenta e le risorse diminuiscono, il rischio è che il lavoro straordinario degli agenti venga vanificato da una mancanza di investimenti strutturali. Le cifre diffuse dal sindacato parlano chiaro: tra il 2022 e il 2024 sono stati sequestrati ben 4.931 cellulari all’interno delle carceri italiane. Numeri che non lasciano spazio a interpretazioni e che segnalano l’urgenza di un cambio di passo deciso da parte delle istituzioni competenti.
Il SAPPe continua a denunciare, con forza e costanza, la deriva del sistema penitenziario, chiedendo risposte concrete e non più solo dichiarazioni d’intenti. La sicurezza, ricorda Capece, non è un’opinione né un tema di secondaria importanza, ma la condizione necessaria per garantire un ambiente di lavoro dignitoso al personale di Polizia Penitenziaria, la rieducazione dei detenuti e la tutela della collettività. Il caso del Reparto Ionio di Secondigliano è emblematico e si inserisce in una lunga lista di episodi simili che si verificano con preoccupante regolarità in molte strutture italiane. Non si tratta più di fatti isolati o di occasionali falle nel sistema, ma di una vera e propria emergenza di sicurezza nazionale che merita l’attenzione del Ministero della Giustizia e del Governo tutto.
Munno e Vaia hanno inoltre evidenziato come la prevista introduzione degli incontri intimi in carcere, in ambienti non ancora adeguatamente attrezzati e senza protocolli ben definiti, rischi di aggravare ulteriormente il quadro. Una misura che, pur rispondendo a esigenze di umanità e diritti, non può essere implementata senza un’attenta valutazione delle implicazioni pratiche e delle possibili strumentalizzazioni da parte dei detenuti. Il timore, condiviso da molti operatori del settore, è che tali spazi possano diventare nuove vie di accesso per oggetti non consentiti, aumentando le difficoltà operative già oggi insostenibili per il personale penitenziario. Da qui l’appello del SAPPe: servono risorse, uomini e mezzi, ma soprattutto una strategia chiara che metta la sicurezza al centro delle politiche penitenziarie. La realtà non può più essere ignorata o minimizzata. Ogni ritardo, ogni sottovalutazione, ogni mancata risposta equivale a un passo indietro nella difesa dello Stato e della legalità all’interno delle sue stesse strutture.
La perquisizione di oggi e il rinvenimento degli otto smartphone rappresentano l’ennesima dimostrazione di come, nonostante le difficoltà e le carenze strutturali, la Polizia Penitenziaria continui a svolgere un ruolo fondamentale nella salvaguardia delle istituzioni. Un’azione che va riconosciuta e valorizzata con atti concreti, a partire da provvedimenti disciplinari esemplari nei confronti del detenuto trovato in possesso del dispositivo. Solo in questo modo si può ripristinare il principio di legalità e dare un segnale chiaro che lo Stato è presente, vigile e determinato a non cedere terreno all’illegalità, nemmeno dentro le sue carceri. La sfida è complessa, ma non impossibile: serve solo la volontà politica di affrontarla fino in fondo.