L’elezione di Papa Leone XIV, annunciata ieri dopo il quarto scrutinio del conclave, ha attirato l’attenzione di tutto il mondo cattolico. Il cardinale Robert Francis Prevost, di origine statunitense ma con una lunga esperienza missionaria in Perù, è il primo pontefice americano della storia della Chiesa. Un evento storico, certo, ma che ha suscitato interesse anche nei quartieri più dimenticati e periferici delle grandi città italiane. Tra questi c’è anche Secondigliano.
A una prima lettura, può sembrare che il nome del nuovo Papa e il nostro quartiere non abbiano nulla in comune. Eppure, scavando sotto la superficie, emergono elementi che meritano attenzione. Papa Leone XIV ha vissuto per oltre vent’anni in America Latina, precisamente in Perù, a stretto contatto con comunità marginalizzate, povere, spesso segnate dalla violenza e dall’abbandono istituzionale. Il suo ministero pastorale è stato, fin dall’inizio, caratterizzato da un’attenzione particolare per le periferie umane ed esistenziali. E in questo, chi vive a Secondigliano, può ritrovarsi.
Le sue prime parole da pontefice non sono state pompose, ma essenziali: una Chiesa “con le braccia aperte”, una comunità credente che non erige muri, ma costruisce ponti. Un invito all’ascolto, al dialogo e alla presenza concreta nei territori. Se questo approccio verrà confermato nel tempo, potremmo trovarci di fronte a una fase nuova per i quartieri come il nostro, troppo spesso associati solo a devianza, degrado o criminalità organizzata.
Secondigliano è molto più di questo. È un luogo abitato da migliaia di persone che ogni giorno resistono alla rassegnazione, che educano i figli con fatica e dignità, che frequentano le parrocchie non per abitudine ma per bisogno di senso. È un territorio dove operano realtà di volontariato, presidi scolastici e pastorali, esperienze culturali che non fanno notizia ma costruiscono futuro. Un Papa che viene dal Sud del mondo potrebbe comprendere meglio queste dinamiche e incoraggiare, anche dall’alto, chi lavora in basso.
Nel contesto attuale, in cui le distanze tra centro e periferia si fanno sempre più ampie anche nella Chiesa, l’elezione di Leone XIV potrebbe rappresentare un’occasione per rimettere in discussione priorità e linguaggi. È possibile che un Papa che conosce la fatica della povertà possa stimolare nuove attenzioni verso chi, nei nostri quartieri, vive situazioni simili, seppur in contesti diversi.
Non si tratta di idealizzare o aspettarsi soluzioni miracolose. Le condizioni di vita a Secondigliano non cambieranno per effetto di una fumata bianca. Ma la scelta di un Papa con un certo vissuto può aprire un clima nuovo, dove anche le comunità più fragili si sentano riconosciute e interpellate. Dove le periferie non siano più soltanto oggetto di missioni occasionali, ma parte attiva del discorso ecclesiale.
La sfida, ora, è duplice. Da un lato, la Chiesa istituzionale dovrà dimostrare di voler realmente mettere al centro le periferie, non solo nei discorsi, ma nelle scelte concrete. Dall’altro, anche le comunità locali come la nostra dovranno sentirsi parte di questa Chiesa, con una voce e una dignità che non dipendono dal codice postale.
Secondigliano non chiede privilegi, ma attenzione. Non cerca compassione, ma rispetto. Se Papa Leone XIV saprà parlare anche a noi, sarà un segno importante. Ma ancora più importante sarà la risposta che sapremo dare come comunità: nella fede, nell’impegno quotidiano, nel rifiuto della rassegnazione. Solo così potremo trasformare una notizia venuta da Roma in un’occasione vera di cammino condiviso.