Afragola si è fermata per Martina. Una città intera, con il cuore gonfio di dolore e la voce rotta dal silenzio, ha sfilato in fiaccolata per ricordare la giovane vita spezzata di Martina Carbonaro, la quattordicenne uccisa dall’ex fidanzato, un ragazzo di diciannove anni, ora reo confesso. La fiaccolata, partita da piazza Municipio, ha attraversato il centro cittadino fino a raggiungere lo stadio Moccia, a pochi metri dal luogo in cui la ragazza è stata ritrovata priva di vita. A guidare il corteo, sotto uno striscione che recitava “L’amore vero non uccide. Ciao Martina”, c’erano il sindaco di Afragola Antonio Pannone con lo stendardo del Comune, don Maurizio Patriciello – il parroco del Parco Verde di Caivano da sempre in prima linea contro la violenza – e, stretti nel dolore, i genitori della vittima. La madre, Enza Cossentino, indossava una maglietta con il volto sorridente della figlia stampato sul petto, come a volerne gridare la presenza oltre l’assenza, la vita oltre la morte.
La fiaccolata è stata un fiume umano composto da oltre duemila persone: cittadini comuni, scolaresche, associazioni, parrocchie, amici di famiglia. Gli studenti dell’Istituto Superiore “A. Torrente” di Casoria, dove Martina frequentava la sezione cucina dell’alberghiero, hanno camminato in gruppo, con sguardi persi e lacrime trattenute. Tanti i cartelli, i fiori, i palloncini bianchi, uno dei quali portava scritto “Martina vive”. Proprio davanti allo stadio, in un momento di intensa commozione, è stato effettuato un lancio di palloncini, accompagnato dal grido corale dei ragazzi presenti: un modo per elevare al cielo una speranza, un ricordo, un urlo che non vuole spegnersi. Sul palco, allestito sul campo, la madre di Martina ha preso la parola con una dignità che ha scosso i presenti: “Dio perdona, io no. Perché Martina nessuno me la potrà riportare”, ha detto, stringendo forte il microfono, come a voler afferrare con le mani quell’unico strumento che ancora le restava per chiedere giustizia.
Un messaggio forte, quello lanciato da questa fiaccolata, che non vuole essere soltanto una commemorazione ma una denuncia contro ogni forma di violenza mascherata da sentimento. “L’amore può finire, ma si può morire così?” si chiede Enza, la mamma di Martina, in un post pubblicato su Facebook, dove scrive anche: “Chi ti ha fatto del male la pagherà. Vola in alto, figlia mia”. Martina era poco più che una bambina quando aveva conosciuto Alessio Tucci, il diciannovenne che ora si trova in stato di fermo con l’accusa di omicidio. Due anni di relazione tormentata, iniziata quando lei aveva solo dodici anni, un’età in cui si dovrebbe parlare di sogni e non di minacce. I segnali c’erano stati: uno schiaffo raccontato ai genitori, un cambio di umore, un’inquietudine che era diventata visibile agli occhi di chi l’amava davvero. Dopo quel gesto violento, Martina aveva deciso di troncare il rapporto. Ed è stato proprio quell’addio a scatenare la furia cieca dell’ex, incapace di accettare la fine di una storia che lui stesso aveva trasformato in una trappola.
La sera dell’omicidio, Martina era uscita con un’amica per un gelato. Poco dopo ha incontrato Alessio. Era probabilmente un ultimo confronto, il chiarimento definitivo. Ma non è mai tornata a casa. La madre ricorda ancora quella telefonata interrotta, una voce che dice “pronto” e poi più nulla. Quel silenzio improvviso ha avuto il peso di un presagio. Più tardi, incredibilmente, Alessio si è recato a casa della famiglia Carbonaro, ha fatto finta di preoccuparsi, ha partecipato alle ricerche, ha persino consolato la madre. Era lì quando i carabinieri sono arrivati per arrestarlo, confermando i timori di Enza, che da ore sentiva un nodo alla gola che sapeva di verità.
Martina era una ragazza solare, amata da tutti nel palazzo di via Imbriani, dove viveva con i genitori. Il padre lavora nel settore edilizio, la madre è una donna di straordinaria forza e lucidità. Dopo la scuola media, Martina aveva scelto l’alberghiero, sognando un futuro da chef. Parlava spesso di cucine stellate, guardava programmi culinari e prendeva appunti con la dedizione di chi guarda lontano. Aveva sogni, come ogni ragazza della sua età, e un cuore grande, capace di amare ma anche, purtroppo, di perdonare troppo. In tanti l’hanno ricordata anche sui social, con frasi, fotografie, e dediche che raccontano quanto fosse amata. I frati della Basilica di Sant’Antonio da Padova, a due passi da casa sua, hanno organizzato una veglia di preghiera. “Non abbiamo più lacrime”, hanno detto in coro i fedeli, stretti l’uno all’altro come a volersi proteggere da un dolore che tocca tutti.
Il Comune di Afragola ha proclamato il lutto cittadino. La fiaccolata è stato solo l’inizio di una mobilitazione che la comunità promette di portare avanti. Il nome di Martina non sarà dimenticato. “Voglio l’ergastolo per questo ragazzo”, ha detto la madre, senza esitazioni. Non vuole vendetta, vuole giustizia. Vuole che la morte della figlia non sia un numero in più, una storia archiviata, una notizia come tante. Vuole che da questa tragedia nasca consapevolezza, che si parli di educazione sentimentale, che si impari a riconoscere i segnali della violenza anche tra i più giovani. Perché l’amore vero non controlla, non umilia, non alza le mani. E di certo non uccide.
La fiaccolata si è conclusa, ma il cammino per dare un senso a questa assurda perdita è appena cominciato. Afragola ha acceso una luce nel buio. E quella luce ha il volto di Martina.