C'erano ancora in piedi le Vele di Scampia, svettanti e consumate, simbolo di una Napoli complessa e ferita, quando un altro gigante si fece strada tra la folla, saldo e sereno, con lo sguardo pieno di compassione e forza. Era il 21 marzo 2015. Era Papa Francesco. Era la primavera. E Napoli, la città di Maradona, si fermava per accogliere il Pontefice argentino con il cuore aperto e la speranza viva.
Oggi, 21 aprile 2025, il mondo piange la scomparsa di Jorge Mario Bergoglio, morto a 88 anni, ma Napoli lo ricorda vivo, presente, con la voce chiara e decisa che scosse il quartiere di Scampia. Non era una visita qualunque, ma un segnale fortissimo: il Papa aveva scelto di cominciare proprio da lì la sua giornata nella città partenopea, da quella periferia dimenticata, troppo spesso raccontata solo con il vocabolario della criminalità e della rassegnazione.
«Ho voluto incominciare da qui, da questa periferia, la mia visita a Napoli», disse Francesco. E lo fece con il calore di chi riconosce la dignità nei volti, anche in quelli segnati dalla fatica. Quel giorno, nella piazza intitolata a Giovanni Paolo II, il predecessore santo che pure era passato da Scampia, Papa Francesco tenne un discorso che resta inciso nel cuore dei napoletani. Non furono parole leggere, ma parole vere, come vere sono le difficoltà quotidiane di chi vive al margine. Parlò di speranza, ma non come fiaba, bensì come forza concreta. Parlò della camorra, e usò parole che fecero il giro del mondo: «La camorra spuzza». Una frase semplice e potente, che colpì tutti come uno schiaffo necessario.
Nel 2015, Scampia era ancora un simbolo ferito, spesso dimenticato, troppo spesso stigmatizzato. Ma quel giorno si trasformò nel centro morale del mondo. Napoli si mostrava per quello che è: una città in bilico tra il dolore e la bellezza, tra l’abbandono e il riscatto, tra le ombre e la luce. E il Papa parlava proprio a tutti. Agli anziani, ai migranti, ai malati, ai giovani, ai disoccupati, ai lavoratori sfruttati.
Raccontò la storia di una ragazza che lavorava undici ore al giorno per seicento euro al mese, senza contributi. Una storia comune, purtroppo, in tante parti d’Italia. La definì “schiavitù”, senza giri di parole. Disse che questo non è umano, che non è cristiano. E nel pronunciare quelle frasi, ogni napoletano capì che non si trattava solo di un discorso da palcoscenico. Era un richiamo. Un’esortazione. Una mano tesa per alzarsi da terra.
Scampia ascoltava e piangeva. Sotto quelle Vele, il Papa parlava di dignità, di coraggio, di futuro. Riconosceva che Napoli è una città difficile, ma mai triste. Una città viva, con una cultura che aiuta a rialzarsi dopo ogni caduta. Disse: «Non lasciare mai che il male abbia l’ultima parola». Era la versione evangelica del "non vi arrendete", ma aveva l’impatto di una rivoluzione. Parlò di speranza come di una “leva dell’anima”, una forza che Napoli ha dentro, anche quando non se ne rende conto.
Fu un incontro vero. Non c’erano barriere. Solo mani alzate, occhi lucidi, una folla che non chiedeva miracoli ma riconoscimento, rispetto, ascolto. E Francesco, il Papa venuto dalla fine del mondo, restituiva tutto questo con semplicità disarmante. Quando concluse con il saluto «'A Madonna v’accumpagna», Napoli esplose in un applauso lungo e commosso. Era il linguaggio del popolo, della casa, dell’intimità.
Quella giornata non fu fatta solo di parole. Fu fatta di gesti. L’arrivo in elicottero al campo sportivo comunale. Il saluto al cardinale Sepe, al sindaco De Magistris, alle istituzioni locali. Il corteo in papamobile attraversando la folla. L’abbraccio alle categorie sociali presenti: lavoratori, migranti, professionisti, studenti. E poi la marcia verso il centro, fino a piazza del Plebiscito. Un itinerario che segnava una linea precisa: da Scampia al cuore della città, come a dire che la periferia non è un altrove, ma parte integrante della città vera.
Anche il passaggio su via Roma verso Scampia, sul corso Secondigliano, fu carico di significato. Strade troppo spesso raccontate solo nei resoconti di cronaca nera, in quel giorno si riempirono di speranza e applausi, come se l’intera città avesse finalmente l’occasione di mostrarsi per la sua umanità. Per la sua fame di giustizia. Per la sua voglia di rinascita.
Napoli non ha dimenticato. Oggi, alla notizia della morte di Papa Francesco, tanti occhi tornano a quelle immagini, a quelle frasi, a quel gesto di cominciare da Scampia. Non fu solo un atto simbolico. Fu un atto d’amore. Un patto non scritto, ma reale. Un seme piantato nella terra difficile della periferia, che in molti portano ancora dentro.
A dieci anni da quella visita, Scampia è cambiata. Alcune Vele sono state abbattute. I progetti sociali sono aumentati. La narrazione ha cominciato timidamente a spostarsi. Non tutto è risolto, ma qualcosa è in cammino. E in questo cambiamento, in questo lento risveglio, c’è anche l’eco di quella mattina di primavera del 2015.
Papa Francesco ha lasciato Napoli, e ora ha lasciato anche questo mondo. Ma le sue parole restano. Come un’eredità viva. Come un monito. Come un’energia che ancora abita i vicoli, le piazze, i cuori. Napoli lo saluta con le stesse parole che lui le donò: «’A Madonna t’accumpagna, Papa Francesco».