È stata una domenica segnata dalla violenza quella appena trascorsa nel carcere di Secondigliano, dove un detenuto italiano ha aggredito sette agenti della polizia penitenziaria, provocando momenti di forte tensione e un inevitabile ritorno di attenzione sulle difficili condizioni di lavoro all’interno delle carceri campane. L’episodio è avvenuto nel Reparto Accettazione della struttura detentiva napoletana, quando un uomo ristretto in quel settore, al momento dell’apertura della cella per il consueto passeggio, ha colpito senza preavviso l’agente di servizio con pugni al volto. L’aggressione, definita proditoria e immotivata, ha scatenato l’immediato intervento di altri sei agenti, accorsi in aiuto del collega, ma anch’essi presi di mira con la stessa furia dal detenuto. La colluttazione ha avuto conseguenze serie: tutti i sette poliziotti coinvolti sono stati successivamente trasportati al pronto soccorso dell’ospedale Cardarelli, dove sono stati sottoposti alle cure mediche necessarie. Nessuno di loro sarebbe in pericolo di vita, ma le ferite riportate e il trauma subito riaccendono il dibattito sulle condizioni di sicurezza e di vivibilità nelle strutture penitenziarie della regione.
A denunciare pubblicamente quanto accaduto è stato il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), che in una nota ha parlato di un evento grave e preoccupante, ponendo nuovamente l’accento sulla condizione di forte pressione sotto cui opera quotidianamente il personale penitenziario. Secondo quanto dichiarato da Raffaele Munno e Donato Vaia, segretari del sindacato, la professionalità e la prontezza degli agenti hanno impedito che la situazione degenerasse ulteriormente, ma l’episodio in sé costituisce l’ennesimo segnale d’allarme in un contesto carcerario già definito da tempo come insostenibile. La violenza, i tentativi di sopraffazione, il sovraffollamento e l’assenza di risorse adeguate per far fronte a una popolazione detenuta sempre più complessa sono problemi che si ripresentano con regolarità all’interno delle strutture della Campania, e che sembrano aggravarsi con il passare del tempo.
Il segretario generale del Sappe, Donato Capece, ha ribadito con fermezza che un’aggressione a un agente penitenziario è da considerarsi a tutti gli effetti un’aggressione allo Stato. Con queste parole ha voluto sottolineare non solo la gravità del gesto compiuto dal detenuto, ma anche la necessità di una risposta istituzionale chiara e immediata. Il sindacato ha annunciato che si muoverà presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per sollecitare misure straordinarie in termini di sicurezza, tutela del personale e revisione dell’organico, che ormai appare palesemente insufficiente a garantire la gestione ordinata e sicura degli istituti di pena.
L’emergenza, tuttavia, non è solo numerica. Le carceri campane, tra cui quella di Secondigliano, sono da tempo teatro di episodi di violenza che coinvolgono sia i detenuti che il personale di sorveglianza. Gli agenti si trovano spesso soli a gestire situazioni complesse, con una popolazione carceraria che presenta crescenti difficoltà legate a disagio psichico, tossicodipendenza e problematiche sociali profonde. In questo contesto, la preparazione e l’esperienza non bastano più: serve un rafforzamento concreto delle risorse, una revisione dei protocolli di sicurezza, investimenti sulla formazione e un piano straordinario per garantire non solo l’ordine interno, ma anche il rispetto della dignità di chi lavora ogni giorno in un ambiente di costante tensione.
La Procura ha aperto un fascicolo per accertare le responsabilità penali dell’aggressore, che con il suo gesto rischia ora di vedere aggravata la propria posizione giuridica. Ma oltre al singolo episodio, quello che resta è il senso diffuso di abbandono che serpeggia tra gli agenti penitenziari, costretti a operare in condizioni difficili, con pochi strumenti e con il timore costante che ogni turno possa trasformarsi in un incubo. A fronte di un lavoro delicato e fondamentale per la tenuta del sistema giustizia, le risposte istituzionali tardano ad arrivare e i sindacati tornano a chiedere, con forza, attenzione e interventi reali.
Nel frattempo, all’interno delle mura del carcere di Secondigliano si cerca di tornare alla normalità, ma con la consapevolezza che nulla è davvero normale in una struttura in cui la violenza può esplodere da un momento all’altro, per motivi futili o per una tensione accumulata nel tempo. L’aggressione di domenica non è solo un fatto di cronaca: è l’ennesima manifestazione di un malessere sistemico che ha bisogno di essere ascoltato, analizzato e affrontato con serietà, altrimenti episodi del genere rischiano di diventare sempre più frequenti e pericolosi.
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