Un nuovo episodio che fa riflettere su sicurezza, controllo e disagio giovanile si è verificato alla stazione della metropolitana di Chiaiano. Alcuni ragazzi sono stati ripresi mentre si arrampicavano sul tetto della struttura, mettendo in pericolo sé stessi e suscitando allarme tra i presenti. Le immagini, diffuse rapidamente sui social, mostrano i giovani mentre camminano lungo la copertura esterna dell’edificio con apparente naturalezza, come se si trovassero su una normale passerella, ignorando del tutto il pericolo e il senso stesso del limite. Nessun sistema di protezione, nessuna misura precauzionale: solo l’asfalto inclinato di un tetto e l’azzardo inconsapevole di un gesto che poteva concludersi in tragedia.
Chi ha assistito alla scena dal basso ha raccontato di aver vissuto momenti di forte apprensione. Alcuni passanti hanno provato a richiamare i ragazzi, altri hanno allertato le forze dell’ordine. La polizia, intervenuta sul posto, ha avviato verifiche per identificare i protagonisti della bravata. Si indaga anche sull’eventuale presenza di un video realizzato dagli stessi giovani, magari per guadagnare visibilità su TikTok o Instagram. In questo contesto, la spettacolarizzazione del rischio si sovrappone a una generale assuefazione al pericolo, in cui il valore della vita viene barattato con un pugno di like.
La stazione di Chiaiano non è nuova a episodi di vandalismo, piccoli atti di inciviltà o incursioni nei locali tecnici. Ma quanto accaduto con questi giovani che si arrampicano fino al tetto rappresenta un salto di livello che impone interrogativi urgenti. Come è possibile che sia stato così semplice accedere a una zona tanto pericolosa? Le aree interne e perimetrali della stazione sono davvero sicure? Chi dovrebbe vigilare in modo costante su questi spazi? Domande che chiamano in causa le istituzioni locali, i gestori del trasporto pubblico e anche, in modo più ampio, il ruolo degli adulti nella prevenzione del disagio giovanile.
In molti, sui social e nelle discussioni di quartiere, hanno espresso preoccupazione e rabbia. C’è chi denuncia una crescente sensazione di abbandono delle periferie, dove la mancanza di occasioni e strutture per i giovani si traduce sempre più spesso in comportamenti devianti o autolesionisti. E c’è chi ricorda come a Chiaiano, ma anche a Scampia, Piscinola e nella stessa Secondigliano, le aree adiacenti ai punti più sensibili siano diventate punti critici non solo per la sicurezza infrastrutturale, ma anche per le dinamiche sociali che vi si concentrano.
Il gesto dei ragazzi, per quanto possa apparire una semplice bravata, è un campanello d’allarme. Un episodio che non può essere archiviato come una follia estemporanea. Dietro l’imprudenza e la sfida al pericolo si nasconde spesso un vuoto profondo, fatto di noia, isolamento e mancanza di riferimenti. Se a questo si aggiunge l’attrazione verso la visibilità immediata sui social, il rischio diventa sistemico. Ci si arrampica su un tetto per sentirsi visti, per gridare un’esistenza che altrove sembra invisibile.
Nel frattempo, l’ANM e il Comune hanno assicurato verifiche tecniche sull'accessibilità dei punti critici della stazione. Possibili interventi infrastrutturali per impedire che situazioni simili si ripetano sono già allo studio. Ma la vera sfida è un’altra e si gioca sul terreno della prevenzione, dell’educazione e dell’ascolto. Servono percorsi capaci di intercettare il disagio prima che si trasformi in pericolo. Servono spazi, attività e figure adulte di riferimento in grado di accompagnare i giovani verso forme di espressione meno distruttive e più costruttive. Altrimenti si continuerà a raccontare storie come questa: tetti trasformati in palcoscenici e ragazzi sospesi tra il vuoto e la ricerca di senso.
L’episodio di Chiaiano non è che l’ennesima pagina di una cronaca urbana che si ripete con inquietante regolarità. A Secondigliano, a Miano, a Scampia, nei pressi delle stazioni o nei parchi pubblici, il filo rosso è sempre lo stesso: giovanissimi che cercano uno spazio, un riconoscimento, un gesto che li distingua. E spesso quel gesto sfocia nell’illegalità, nel pericolo, nella cronaca. Resta il dato oggettivo di una città che continua a vivere tra emergenza e normalità, tra sottovalutazione e impotenza, tra indignazione e rassegnazione. Ma dietro ogni gesto estremo c’è una storia che va capita, non solo repressa.
Le istituzioni possono rafforzare i controlli, installare telecamere, alzare barriere. Ma senza una vera politica educativa, senza un piano serio per i giovani e per le periferie, il problema continuerà a ripresentarsi, in forme sempre nuove. E magari la prossima volta non si tratterà solo di un video su un tetto, ma di qualcosa di più grave. Per questo è ora di ascoltare, osservare e intervenire. Prima che sia troppo tardi.
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