Lidia ha 82 anni e da oltre tre decenni vive nella stessa abitazione, in una traversa di Secondigliano. Una casa semplice, costruita negli anni ’80, che rappresenta da sempre il suo unico punto di riferimento. Domani, però, quella casa sarà abbattuta per ordine della magistratura. Non si tratta di uno sfratto per morosità, né di una vendita o di un pignoramento: la demolizione è il risultato di una sentenza definitiva legata alla natura abusiva dell’immobile. Un abuso edilizio risalente a un’epoca in cui, per molte famiglie campane, l’unica possibilità di avere un tetto sopra la testa era costruire autonomamente, spesso in assenza di permessi o su terreni non edificabili.
Oggi Lidia si ritrova senza un’alternativa abitativa e con un ordine di sgombero che non lascia spazio a deroghe. La sua storia si inserisce in un contesto ben più ampio, che riguarda centinaia di persone in Campania, molte delle quali anziane o economicamente fragili, che abitano in edifici realizzati in epoche diverse ma con un tratto comune: l’irregolarità urbanistica e l’assenza di strumenti di tutela una volta che le sentenze diventano esecutive.
A portare all’attenzione pubblica il caso di Lidia è stato Severino Nappi, capogruppo della Lega nel Consiglio regionale della Campania, che ha definito la sua vicenda “emblematica di un sistema che colpisce in modo indiscriminato anche chi ha costruito per bisogno e non per profitto”. Secondo Nappi, “la Campania è da anni teatro di una tragica roulette giudiziaria, dove le demolizioni si abbattono senza distinzioni su famiglie che non hanno altre soluzioni abitative. Una macchina che appare cieca e iniqua, contro cui stiamo cercando di intervenire, finora senza esito”. Il consigliere regionale ha ricordato come la Lega abbia presentato due disegni di legge in Consiglio regionale e due proposte in Parlamento, tutte rimaste inascoltate. “Su questi temi – ha dichiarato – la maggioranza ha scelto il silenzio, evitando ogni confronto”.
Il tema degli “abusi di necessità” è particolarmente sentito in Campania, regione in cui si concentra il maggior numero di ordinanze di demolizione in Italia. Le zone più coinvolte sono quelle della periferia nord di Napoli, del litorale domitio, del Vesuviano e di alcuni comuni dell’area metropolitana. Molte delle costruzioni finite al centro di provvedimenti giudiziari risalgono agli anni ’70, ’80 e ’90, quando intere famiglie, spesso prive di mezzi e assistenza, decisero di costruire autonomamente le proprie abitazioni. Si tratta di edifici modesti, spesso mono- o bifamiliari, realizzati su suoli agricoli o in aree vincolate, ma che da decenni rappresentano la residenza stabile di chi li abita.
Nel tempo, questi immobili sono diventati oggetto di condoni edilizi, istanze di sanatoria, ricorsi e contro-ricorsi, in un labirinto burocratico e giudiziario che raramente ha prodotto esiti definitivi favorevoli. Quando arriva la sentenza di demolizione, le famiglie si trovano spesso impreparate, senza strumenti legali per opporsi e senza alternative alloggiative offerte dagli enti locali. È qui che emergono le criticità più gravi: l’assenza di piani di ricollocamento, di fondi per l’assistenza abitativa e di un quadro normativo che tenga conto della vulnerabilità sociale degli interessati.
Il caso di Lidia solleva anche un interrogativo più ampio sulla gestione del patrimonio abitativo irregolare in Italia. Se da un lato è necessario garantire il rispetto delle norme urbanistiche, dall’altro è difficile ignorare le implicazioni sociali di abbattimenti che, in mancanza di un’azione parallela sul fronte del welfare, si traducono in nuove marginalità. A oggi, chi perde una casa per un ordine di demolizione spesso non riceve alcuna proposta concreta dalle istituzioni, finendo di fatto per strada o costretto a ricorrere all’aiuto di parenti, amici o – nei casi peggiori – al circuito dell’emergenza abitativa.
A Secondigliano, quartiere popolare con una lunga storia di emergenze sociali, il caso di Lidia non è isolato. In passato si sono verificati episodi analoghi, con demolizioni che hanno riguardato interi nuclei familiari. Le associazioni del territorio, così come alcuni esponenti politici locali, chiedono da tempo un intervento legislativo che distingua tra l’abusivismo speculativo e quello di necessità. Una distinzione che, secondo molti osservatori, sarebbe fondamentale per costruire un approccio più equilibrato, che tenga conto sia del rispetto della legalità che della tutela delle persone più vulnerabili.
Il rischio, altrimenti, è che situazioni come quella di Lidia si moltiplichino nei prossimi mesi. Le ruspe continueranno ad arrivare, come previsto dalle sentenze, ma senza che venga garantito un percorso alternativo per chi perde l’unica casa che abbia mai avuto. In questo quadro, cresce la preoccupazione delle amministrazioni locali, che si trovano spesso in prima linea senza però strumenti adeguati. Mancano fondi, mancano alloggi pubblici disponibili, manca un coordinamento con le istituzioni regionali e statali.
La vicenda di Lidia, pur nella sua drammaticità, è l’occasione per riaccendere l’attenzione su un fenomeno che va affrontato con urgenza. La Campania non può permettersi di trasformare il contrasto all’abusivismo edilizio in un’emergenza sociale permanente. Servono soluzioni legislative, strumenti urbanistici aggiornati, piani di recupero e, soprattutto, misure che tengano conto della condizione concreta delle persone coinvolte. Perché dietro ogni sentenza di demolizione c’è una storia, spesso fatta di povertà e assenza di alternative. E ignorarle rischia di aggravare, anziché risolvere, i problemi del territorio.