In un’Italia che troppo spesso parla di carcere solo in termini di emergenza, degrado o pericolo, domani, sabato 3 maggio, si accenderà una luce diversa. In tredici città, da nord a sud, detenuti in permesso premio parteciperanno a una grande operazione ambientale, accanto a volontari e cittadini, per ripulire spiagge, fiumi, parchi e aree urbane. Tra questi, ci saranno anche i detenuti dell’istituto penitenziario di Napoli-Secondigliano, uno dei più complessi e popolati del Paese. Ma soprattutto, ci sarà un’occasione: quella di rovesciare lo sguardo con cui la società guarda chi ha commesso degli errori. Per un giorno, questi uomini non saranno semplicemente ex colpevoli, ma cittadini attivi, protagonisti del bene comune, capaci di dare un senso diverso alla parola "pena".
L’iniziativa è promossa da Plastic Free Onlus e dall’associazione Seconda Chance, che da tempo lavora per il reinserimento socio-lavorativo delle persone detenute, scommettendo sul fatto che cambiare è possibile, se si è messi nelle condizioni di farlo. E una delle prime condizioni è uscire dagli stereotipi: quelli che vedono il carcere come luogo di segregazione definitiva, di esclusione eterna; quelli che raccontano Napoli e il Sud solo come fucine di problemi irrisolvibili. Invece, questa giornata sarà un esempio potente di come proprio da qui, da questi territori feriti, possano partire modelli positivi, capaci di tenere insieme giustizia, ambiente, partecipazione, comunità.
A Napoli, l’iniziativa prenderà corpo grazie alla collaborazione tra le associazioni promotrici, l’amministrazione comunale e l’istituto penitenziario di Secondigliano. I detenuti coinvolti, dopo un percorso autorizzativo e di responsabilizzazione, saranno impegnati nella raccolta di rifiuti in una zona urbana della città, integrandosi in una squadra più ampia di volontari, cittadini, operatori sociali. Un gesto concreto per l’ambiente, certo, ma anche un messaggio fortissimo per la collettività: nessuno è escluso dalla possibilità di contribuire. La vera sostenibilità, infatti, non è solo quella che riguarda la natura, ma anche quella sociale, quella relazionale, quella che ricostruisce i legami, anche i più fragili, con senso e dignità.
Flavia Filippi, presidente e fondatrice di Seconda Chance, lo ha spiegato con parole chiare: «Non si tratta solo di uscire per qualche ora dal carcere, ma di vivere un’esperienza collettiva, umana. Si lavora insieme, si pranza insieme, spesso con i familiari. Si condivide un momento di normalità, che per molti è il primo passo verso il cambiamento». Ed è proprio questa normalità il cuore dell’iniziativa: un momento apparentemente semplice, ma che per chi vive da anni tra le mura di un carcere può rappresentare una svolta. Mangiare con la propria famiglia in un contesto di impegno e solidarietà, confrontarsi con altri cittadini in un’ottica di uguaglianza, dare il proprio tempo per una causa che va oltre se stessi: sono atti profondamente trasformativi, che possono cambiare la traiettoria di una vita.
Il progetto ha già dato risultati importanti. Oltre 520 offerte di lavoro sono nate grazie ai percorsi costruiti da Seconda Chance, che ha saputo coinvolgere aziende, istituzioni, enti del terzo settore. Non si tratta di beneficenza, ma di costruzione di opportunità vere, strutturate, monitorate. Di ponti che si possono attraversare, tra il dentro e il fuori, tra l’errore e la possibilità di rimediare. Anche Plastic Free, attraverso la voce del direttore generale Lorenzo Zitignani, ha ribadito il senso profondo dell’iniziativa: «Abbiamo costruito questa sinergia sull’idea che l’associazionismo debba essere aperto a tutti. Le nostre raccolte ambientali non sono solo gesti ecologici: sono esperienze di riconoscimento, gratitudine e possibilità. Perché per cambiare davvero il mondo serve il contributo di tutti».
A Napoli, questa consapevolezza diventa ancora più significativa. Perché qui i margini sociali non sono un’astrazione, ma una realtà quotidiana. Perché qui le contraddizioni sono profonde, ma anche le energie vive, pulsanti, capaci di sorprendere. E perché proprio da una città come questa può arrivare una lezione universale: che il cambiamento, quello autentico, passa sempre per la relazione. Non basta rinchiudere chi sbaglia. Bisogna accompagnarlo, ascoltarlo, coinvolgerlo. Dargli un motivo per fare meglio. E dargli fiducia.
La giornata di sabato sarà anche un banco di prova per una nuova idea di giustizia: non più solo retributiva, ma riparativa, inclusiva, capace di vedere nella persona detenuta non solo il reato, ma la possibilità. Una giustizia che non si limita a punire, ma cerca di capire, di correggere, di integrare. E una società che si fa carico, almeno per un giorno, di guardare chi è stato "dentro" come qualcuno che può ancora essere "parte", seppure con un passato difficile. Il carcere di Secondigliano, in questo senso, dimostra che anche nelle strutture più complesse, dove le fragilità si moltiplicano, si può sperimentare qualcosa di diverso.
Per tutto questo, la partecipazione dei detenuti all’iniziativa ambientale non è solo un’operazione simbolica o educativa. È un pezzo concreto di un puzzle più grande, in cui carcere, cittadinanza, ambiente, famiglia, responsabilità, futuro si tengono insieme. È un gesto che parla non solo a chi partecipa, ma a tutta la città. A tutta l’Italia. Per ricordarci che nessuno è solo il proprio errore, e che il bene comune si costruisce, giorno dopo giorno, anche con chi sta cercando di ricominciare.