Il carcere è un’esperienza che segna per sempre. Lo sa bene Simone, nome di fantasia per tutelarne l’identità, che ha trascorso tredici anni dietro le sbarre di un reparto di media sicurezza. Accusato di concorso in omicidio nell’ambito di un’inchiesta di camorra, ha vissuto il lungo incubo della detenzione prima di ottenere l’assegnazione a un lavoro esterno. Oggi, con il cielo sopra la testa e la possibilità di abbracciare di nuovo la sua famiglia, racconta la sua storia, fatta di errori, rimpianti, ma anche di speranza per un futuro diverso.
Simone ha sempre amato la cucina e durante la detenzione ha coltivato questa passione. Ora lavora in un’azienda artigianale della provincia di Napoli che produce dolci. Ma il suo obiettivo non si ferma qui: ha sostenuto diciannove esami universitari e gliene mancano sette per laurearsi in Scienze biologiche, degli alimenti e della nutrizione umana. Uno spiraglio di luce in una vita segnata da scelte sbagliate e da un ambiente che lo ha portato, suo malgrado, in una spirale di eventi più grandi di lui.
La sua storia inizia nel 2012. Venticinque anni e una vita in un quartiere segnato dalle guerre tra clan. Non faceva parte della criminalità organizzata, ma il solo fatto di avere amicizie e legami familiari con alcune persone coinvolte nei clan è bastato per attirare su di lui l’attenzione della magistratura. Un parente acquisito, ritenuto vicino a un’organizzazione criminale, ha cambiato per sempre il suo destino. Simone si è ritrovato nel mirino della Procura antimafia con accuse pesantissime.
Prima di quel momento, la sua fedina penale era praticamente immacolata: solo una vecchia segnalazione per oltraggio a pubblico ufficiale quando era sedicenne, un errore di gioventù. Aveva anche superato un concorso per entrare nella pubblica amministrazione, ma la sua carriera è stata stroncata sul nascere. Pochi giorni prima di Natale, il suo mondo è crollato: i carabinieri si sono presentati alla sua porta con un mandato di arresto. L’accusa? Concorso esterno in associazione mafiosa e il presunto ruolo di “armiere” in un raid criminale culminato in un omicidio e un tentato omicidio.
La sua odissea inizia a Poggioreale, una delle carceri più dure d’Italia. Dodici persone in una cella, condizioni igieniche precarie, turni per usare il bagno. Dopo quattro mesi viene trasferito a Benevento, poi a Torino, a 900 chilometri da casa, rendendo quasi impossibili le visite della moglie e dei figli. Infine, la Sicilia e Secondigliano, dove ha avuto la possibilità di incontrare volontari che lo hanno aiutato nel suo percorso di crescita e rieducazione.
Il processo è stato un colpo al cuore: 28 anni di carcere. Sentenza che gli ha fatto perdere ogni speranza. Non aveva partecipato all’omicidio, ma la sua vicinanza ad alcune persone era bastata per condannarlo. “Certe ‘capate’ si pagano” dice oggi con amarezza, consapevole che i legami e le amicizie nel contesto sbagliato possono distruggere una vita.
La notte in carcere era il momento peggiore. Il pensiero di dover passare la giovinezza dietro le sbarre, il futuro perso, il tempo che scorre senza poterlo fermare. Pensava ai figli, alla moglie, al giorno in cui sarebbe uscito a 53 anni senza sapere cosa avrebbe trovato ad aspettarlo.
Poi, l’Appello ha ribaltato tutto. Il Procuratore Generale ha chiesto la sua assoluzione per l’accusa di omicidio, riconoscendo che non aveva avuto alcun ruolo nella vicenda. Lo hanno scagionato perfino i pentiti e le dichiarazioni di un boss. Restavano però le accuse di favoreggiamento e concorso esterno in associazione, e la condanna è stata ridotta. Il suo fine pena è fissato per il 2027, ma ha ottenuto il beneficio del lavoro esterno.
Ora la sua vita ha un altro significato. Studia, lavora e cerca il riscatto. È grato a chi gli ha dato una seconda possibilità e lancia un messaggio ai giovani attratti dal fascino sbagliato della criminalità: “Pensateci bene. Con la violenza non si ottiene nulla. State lontani dai guai e dalle armi. Il carcere è un inferno, e certi errori si pagano caro”.
Il suo obiettivo è chiaro: vuole laurearsi e costruire un futuro migliore. Non solo per sé, ma per la sua famiglia. Simone vuole dimostrare che non è mai troppo tardi per cambiare strada, anche quando tutto sembra perduto.
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