La storia di M.C., oggi ventisettenne, è una testimonianza intensa e dolorosa del percorso di riscatto di chi è cresciuto tra povertà, abbandono e criminalità in una delle aree più difficili di Napoli, Secondigliano. Ecco la sua storia raccontata in un'intervista rilasciata nell'edizione odierna del quotidiano Repubblica.
A soli 15 anni, M.C. entrò per la prima volta nell’istituto minorile di Nisida, luogo noto non solo per le storie di giovani detenuti, ma anche per il messaggio di speranza e possibilità di rinascita che offre a chi riesce a cogliere le opportunità. Il giovane fu condotto lì dopo una serie di reati legati al traffico di droga e una fuga da una comunità. Al suo arrivo, percepì il carcere come una conferma di essere ormai parte del mondo criminale, in cui avrebbe potuto "spaccare il mondo". Questa convinzione, però, si sarebbe infranta contro la dura realtà della detenzione.
All’interno di Nisida, M.C. trovò un ambiente difficile, fatto di scontri quotidiani, tensioni e isolamento. All’inizio, l’unica risposta che trovava era quella della rabbia: litigava, rifiutava i corsi di formazione e finiva continuamente in isolamento. La mancanza di una famiglia alle spalle, di figure di riferimento su cui poter contare, lo spingeva ancora più in basso, facendogli vedere ogni esperienza come un fallimento. Ma proprio nel momento più buio, un educatore decise di prendere a cuore la sua situazione, offrendogli un obiettivo concreto da raggiungere: "Se ti comporti bene, ti farò lavorare e potrai tornare a casa". Fu una proposta semplice, ma potente, che accese in lui una luce di speranza.
M.C. accettò la sfida, cambiando atteggiamento e iniziando a frequentare i corsi proposti. Iniziò a studiare, ottenne un diploma da elettricista e un attestato professionale, e partecipò a corsi di ceramica. A soli 17 anni, riuscì a uscire da Nisida con l'affidamento ai servizi sociali. Sembrava un nuovo inizio, ma il cammino verso il cambiamento non è mai lineare, e per M.C. questo significò un nuovo errore: un altro reato, che lo portò a Poggioreale, una prigione per adulti molto più dura, dove la realtà del sovraffollamento e delle condizioni difficili lo colpirono duramente. L’esperienza di Poggioreale si rivelò traumatica, confermando in lui la difficoltà di trasformare veramente un detenuto attraverso il carcere.
Ma fu solo con la nascita di sua figlia che M.C. trovò la motivazione necessaria per allontanarsi definitivamente dal mondo criminale. La nuova responsabilità di padre, e la consapevolezza dell’importanza della famiglia, cambiarono la sua prospettiva di vita. Dopo un periodo di detenzione a Carinola, uscì nel 2019 e si trasferì all’estero con sua moglie incinta. Per sette mesi lavorò in un ristorante in Lussemburgo, un’esperienza che lo fece sentire vulnerabile, ma anche incredibilmente motivato. Al suo ritorno in Italia, nonostante la vergogna di chi aveva vissuto di crimini e ora si trovava a fare un lavoro umile, trovò la forza di andare avanti.
Oggi, M.C. vive una vita normale, lontano dai reati che un tempo gli garantivano guadagni anche di 10.000 euro al mese. Tuttavia, il senso di soddisfazione che prova è molto più grande: lavora, si sente finalmente libero, e vede il lavoro come un atto di coraggio molto più grande di qualsiasi attività criminale. Ora che ha chiuso i conti con la giustizia, grazie all’aiuto dell’avvocata Mariangela Covelli, M.C. ha un messaggio chiaro per i ragazzi che, come lui un tempo, rischiano di perdersi nella spirale della violenza: "Basta con le armi e l’illegalità. Trovatevi un lavoro".
Secondo lui, oggi molti ragazzi portano una pistola in tasca come simbolo di forza e rispetto, ma questa è solo un’illusione, una convinzione pericolosa che non porta a nulla di buono. La vera forza, afferma, è la famiglia, l’unico sostegno che può davvero aiutare a costruire una vita dignitosa e sicura. La sua esperienza dimostra che, nonostante il carcere possa offrire delle opportunità, il cambiamento vero dipende solo dalla volontà della persona e dalla presenza di una rete di supporto che possa accompagnare i detenuti verso una nuova vita.
M.C. critica anche il sistema carcerario, evidenziando come le istituzioni non facciano abbastanza per favorire il reinserimento dei detenuti. Afferma che solo chi ha vissuto l’esperienza della detenzione può capire quanto sia difficile trovare la forza per ripartire. Il carcere, pur offrendo delle possibilità, non è in grado di trasformare una persona senza un supporto adeguato e, soprattutto, senza la volontà del detenuto stesso. È grazie al lavoro e alla famiglia che M.C. ha trovato la strada per una vita normale, una scelta che, nonostante i sacrifici e le difficoltà, gli ha restituito la dignità e la serenità che un tempo gli sembravano irraggiungibili.
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