Il 23 settembre 1985, Giancarlo Siani, giovane cronista de "Il Mattino", fu ucciso brutalmente dalla Camorra. Aveva appena terminato il suo ultimo articolo, un resoconto di settanta righe. Quel giorno segnava la fine della sua breve carriera, ma l’inizio di un’eredità che avrebbe risuonato per decenni. Aveva 26 anni, e la sua vita fu spezzata per aver osato raccontare la verità. Nonostante la sua giovane età e l'inesperienza rispetto a colleghi più navigati, Siani aveva già dimostrato un talento eccezionale per il giornalismo investigativo, soprattutto per quanto riguardava i rapporti tra la politica locale e la criminalità organizzata.
Siani non era un giornalista affermato, bensì un "abusivo", un cronista senza un contratto stabile, relegato a fare da corrispondente per la redazione di Castellammare di Stabia. In quell'estate del 1985, però, aveva ottenuto un contratto temporaneo di due mesi al "Mattino", un passo importante per lui. Era riuscito, con determinazione e passione, a ottenere la fiducia del giornale, scrivendo di temi scottanti, come le faide camorristiche nella zona di Torre Annunziata. I suoi articoli si concentravano sulla sanguinosa guerra tra clan, in particolare tra i Bardellino e gli Alfieri, e sugli intrighi politici che ne facevano da sfondo. Una cronaca che raccontava senza filtri la violenza e la corruzione che avvelenavano il suo territorio.
Giancarlo aveva intuito qualcosa che pochi altri avevano osato dire ad alta voce. Quando, l’8 giugno 1985, il boss Valentino Gionta fu arrestato nei pressi della tenuta dei Nuvoletta, Siani comprese che l’arresto non era il frutto del caso, ma di un preciso disegno criminale. Scrisse un articolo dove suggeriva che i Nuvoletta avevano consegnato Gionta alle autorità per mettere fine alla guerra con i Bardellino. Questo atto di coraggio giornalistico segnò la sua condanna a morte. Il clan Nuvoletta, non potendo tollerare che un giovane cronista rivelasse i loro piani, decise di eliminarlo.
La sera del 23 settembre, mentre era a bordo della sua Citroën Méhari verde bottiglia, Giancarlo fu colpito da dieci proiettili sparati da due pistole Beretta. Il suo corpo fu trovato esanime sotto casa, in via Vincenzo Romaniello, nel quartiere dell’Arenella. L'agguato, avvenuto in un silenzio sordo, segnò la fine di una vita, ma non della sua lotta. Siani morì per la sua sete di verità, per il desiderio di illuminare gli angoli bui di una realtà soffocata dalla criminalità e dalla corruzione.
Il suo assassinio destò scalpore, ma la verità giudiziaria emerse solo dodici anni dopo, grazie alle testimonianze di due pentiti. Valentino Gionta e i fratelli Nuvoletta furono riconosciuti come i mandanti dell'omicidio, ma restano ancora molte ombre su quella vicenda. Perché si aspettò così tanto a eseguire l’ordine di uccisione? E perché le inchieste che Siani stava portando avanti, in particolare quella sui fondi della ricostruzione post-terremoto, scomparvero nel nulla?
Per anni si tentò di sminuire il valore del suo lavoro, con teorie fantasiose che attribuivano l’omicidio a questioni personali, legate a gelosie o affari di donne. Questa narrativa, alimentata anche da depistaggi, si scontrava con la verità più profonda: Giancarlo era stato ucciso per aver fatto il suo mestiere, per aver osato denunciare i legami tra la Camorra e la politica. Questo, però, non impedì che la sua memoria restasse viva, mantenuta in vita da chi ha scelto di raccogliere la sua eredità e continuare a combattere la criminalità con le armi della parola.
La storia di Giancarlo Siani non è solo quella di un giovane giornalista che perse la vita per aver detto troppo. È anche la storia di un’Italia che, troppo spesso, lascia soli coloro che cercano di difendere la legalità. Siani faceva parte di una categoria di giornalisti spesso invisibili, che lavorano lontano dai riflettori, con contratti precari e pochi riconoscimenti, ma che costituiscono la spina dorsale del giornalismo. Nonostante le difficoltà, Giancarlo non si era mai tirato indietro, continuando a scrivere con rigore e passione, consapevole del rischio che correva.
Negli anni successivi alla sua morte, la sua figura divenne un simbolo della lotta per la libertà di stampa. Ogni anno, in Italia, il 23 settembre è un giorno di riflessione su ciò che significa essere un giornalista in un contesto difficile, dove il racconto della verità può costare la vita. Iniziative come il Premio Giancarlo Siani continuano a ricordare il suo sacrificio, premiando quei giornalisti che, come lui, mettono a repentaglio la propria vita per far emergere la verità.
La sua storia ci obbliga a chiederci: quanto è cambiato da allora? Quanto è ancora difficile, in alcune parti d’Italia, raccontare la verità senza temere ritorsioni? Le parole di Siani ci ricordano che essere giornalista significa molto più che riportare notizie. Significa prendere posizione, schierarsi dalla parte della verità, anche quando questo può mettere a rischio la propria vita.
L’Italia è un Paese che spesso si perde nelle celebrazioni e negli anniversari, ma il ricordo di Giancarlo Siani non può essere ridotto a una semplice commemorazione. La sua vita e il suo lavoro rappresentano un monito costante per chiunque voglia intraprendere la strada del giornalismo investigativo. A distanza di quasi quarant’anni, il suo esempio ci parla ancora, ricordandoci l’importanza di un’informazione libera, indipendente e coraggiosa.
Le domande senza risposta sul suo omicidio restano una ferita aperta per la giustizia italiana. Ci sono stati depistaggi, omissioni, errori che hanno ritardato la verità. Ma nonostante tutto, la sua memoria è viva. E ogni volta che un giornalista sceglie di raccontare una storia scomoda, di fare luce su ciò che molti preferirebbero tenere nascosto, lo spirito di Giancarlo Siani rivive.
In un’Italia che ancora oggi vede giornalisti minacciati, intimiditi, o costretti a vivere sotto scorta, il sacrificio di Giancarlo resta una fonte di ispirazione. E ci ricorda che la libertà di stampa non è mai scontata, ma va difesa ogni giorno, con coraggio e determinazione.
Ciao Giancarlo, continueremo a raccontare.
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