Il caffè, simbolo di convivialità e tradizione, diventa uno strumento di reinserimento sociale grazie al progetto "Un Chicco di Speranza", presentato oggi presso la casa circondariale di Secondigliano a Napoli. L'iniziativa, che vede coinvolti il carcere, la diocesi e l'azienda Kimbo, offre a dieci detenuti l'opportunità di formarsi professionalmente come baristi, aprendosi una via verso il reinserimento nella società al termine della pena.
L'accordo, formalizzato con la firma di un protocollo d'intesa, non si limita solo alla formazione. Prevede infatti la creazione di un magazzino dedicato alla riparazione e rigenerazione di macchine da caffè, in cui i detenuti in semi-libertà avranno la possibilità di ritirare e consegnare la strumentazione nei vari punti vendita. Ma il progetto si spinge oltre: con il coinvolgimento della Facoltà di Agraria della Federico II, si sta valutando la creazione di una piccola piantagione di caffè all'interno della struttura penitenziaria.
La direttrice del carcere di Secondigliano, Giulia Russo, ha spiegato come l'iniziativa rappresenti una svolta nella missione della struttura, spostando l'attenzione dalla semplice rieducazione dei detenuti alla loro effettiva risocializzazione. “Attraverso le best practice lavoriamo per passare dalla rieducazione del condannato alla risocializzazione e alla riabilitazione. Oggi piantiamo un chicco di speranza", ha dichiarato Russo. Questo progetto si articola su tre direttrici fondamentali: la formazione professionale, la realizzazione di un laboratorio specifico che sarà inserito nel polo di arti e mestieri del carcere, già attivo da due anni, e la lavorazione del terreno per la produzione di caffè.
Mario Rubino, presidente di Kimbo, ha sottolineato il forte legame tra l'azienda e la città di Napoli: "Noi ci siamo presi il titolo di 'caffè di Napoli' e, visto il nostro radicamento nel territorio, ritenevamo opportuno dare qualcosa alla città. Abbiamo deciso di partire dai più deboli, dai detenuti del carcere di Secondigliano, che formeremo affinché possano essere reinseriti al meglio nella società". L'ambizione di Rubino è che questo caffè, prodotto grazie all'impegno dei detenuti, diventi un simbolo di rinascita. Il nome del prodotto, "Caffè di Secondigliano", sarà non solo una bevanda, ma un vero e proprio messaggio di speranza.
L'azienda Kimbo sarà parte attiva del progetto non solo per quanto riguarda la formazione, ma anche per garantire che i detenuti apprendano l'arte del caffè con grande attenzione. "Saremo molto rigidi nell'insegnare l'arte del caffè e del mestiere di barista, perché speriamo che questa esperienza rappresenti per loro un'opportunità di riscatto", ha ribadito Rubino. "Da parte loro, ci vorranno impegno, dedizione e perseveranza".
Il percorso formativo, il primo step del progetto, darà ai detenuti l’opportunità di acquisire competenze professionali che potranno essere utilizzate una volta tornati in libertà, ma soprattutto rappresenta una via per riscattarsi e riprendersi un posto nella società. L’iniziativa non riguarda solo la formazione tecnica: essa mira a ricostruire fiducia e dignità attraverso il lavoro, offrendo a chi ha commesso errori una seconda possibilità.
Il progetto "Un Chicco di Speranza" è destinato a crescere e maturare nel tempo, esattamente come il caffè che, con pazienza, sarà coltivato all'interno della casa circondariale di Secondigliano. L'idea di vedere il frutto del proprio lavoro trasformarsi in un prodotto finito, venduto e consumato dai cittadini, è per i detenuti una motivazione forte, che li spinge a investire nel proprio futuro.
L'iniziativa non è solo un'operazione di reinserimento sociale, ma una vera e propria sfida per cambiare la vita dei detenuti, attraverso una filiera del caffè che parte dalla piantagione e arriva alla tazzina. "Speriamo che questo campo incolto diventi il campo dei miracoli, il primo momento di rinascita per i nostri detenuti", ha concluso Rubino.
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