La piazza di Napoli, ancora una volta, diventa cassa di risonanza per un dolore che si fa appello, per una ferita aperta che chiede giustizia, per un nome – Patrizio Spasiano – che non può e non deve essere dimenticato. Durante la manifestazione in sostegno dei referendum sul lavoro, in programma per l’8 e 9 giugno, le parole di Simona Esposito, madre di Patrizio, hanno attraversato la folla come un fendente nel silenzio, spezzando la distanza tra politica e vita reale, tra burocrazia e tragedia umana. “Andate a votare per i vostri figli e per i vostri nipoti. Patrizio era uno di loro. Fatelo per il loro futuro”, ha detto con voce rotta dall’emozione, ma ferma nella sua determinazione. Una madre che non si limita al lutto privato, ma lo trasforma in denuncia pubblica, in azione civile, in memoria collettiva.
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Foto di Fanpage |
Patrizio aveva 22 anni, veniva dal rione Berlingieri di Secondigliano, e come tanti ragazzi della periferia nord di Napoli cercava una via per costruirsi una vita dignitosa, per non restare intrappolato tra la precarietà e l’assenza di opportunità. Il 10 gennaio scorso ha perso la vita durante un tirocinio alla Frigo Caserta di Gricignano d’Aversa, mentre stava semplicemente imparando un mestiere. Non era un lavoratore assunto, non aveva un contratto stabile, non aveva garanzie: era un tirocinante, formalmente “in formazione”, ma nei fatti impiegato in attività produttive. Una condizione liminale, fragile, spesso invisibile, che lo ha esposto – come troppi altri – al rischio mortale dell’insicurezza. “Mio figlio è uscito di casa quella mattina per imparare un mestiere e costruirsi un futuro – ha detto Simona Esposito – ma è tornato a casa in una bara. Non era uno studente, non era un dipendente, era un tirocinante. Non aveva tutele, non aveva un contratto vero, eppure stava lavorando”. Parole che pesano come pietre, che fotografano una condizione lavorativa sempre più diffusa tra i giovani e i giovanissimi, soprattutto nelle aree marginali del Paese, dove anche un tirocinio senza retribuzione è vissuto come un’occasione da non lasciarsi sfuggire.
Alla manifestazione erano presenti lavoratori, attivisti, sindacalisti, cittadini, ma soprattutto c’erano le voci di chi quotidianamente vive sulla propria pelle la precarietà e la mancanza di sicurezza. L’intervento di Simona Esposito non è stato solo un momento di commozione, ma un potente richiamo all’impegno civico. “Andateci a votare per cambiare le cose – ha detto –, per impedire che altri ragazzi muoiano mentre cercano un’opportunità”. Un invito che ha raccolto l’applauso unanime della piazza e ha risuonato forte anche nelle parole successive del segretario nazionale della Cgil, Maurizio Landini. “Non possiamo più accettare che in Italia si muoia durante un tirocinio – ha dichiarato –. I referendum sono uno strumento democratico per dire basta alla precarietà e chiedere diritti veri per tutte le lavoratrici e i lavoratori”.
L’iniziativa si inserisce nel più ampio calendario di mobilitazione promosso dalla Cgil a livello nazionale, in vista dei quattro quesiti referendari su cui gli italiani saranno chiamati a esprimersi. I temi al centro dei quesiti toccano nodi cruciali del mondo del lavoro: il reintegro nei casi di licenziamento illegittimo, l’abolizione dei voucher, il contrasto all’abuso dei contratti a termine, e un rafforzamento della sicurezza sui luoghi di lavoro. Temi che troppo spesso restano confinati nelle stanze dei tecnicismi normativi e che invece, come dimostra la storia di Patrizio Spasiano, si intrecciano in modo drammatico con le vite reali, con le vite spezzate, con le aspettative tradite di migliaia di giovani italiani.
La piazza ha accolto la testimonianza della madre di Patrizio con rispetto e con emozione. In tanti si sono avvicinati a lei, chi per abbracciarla, chi per ringraziarla, chi semplicemente per ascoltare in silenzio. La sua presenza non è passata inosservata: ha dato un volto, un nome, un corpo a quella che troppo spesso viene ridotta a statistica. Nel ricordo di Patrizio, la manifestazione ha assunto un significato ancora più profondo, trasformandosi in un momento di riflessione collettiva e in una chiamata all’azione. “Nessuno deve morire per lavorare” è il messaggio che accompagna da mesi la battaglia di Simona Esposito e che ora diventa uno slogan per una mobilitazione che chiede con forza di cambiare le regole, di restituire dignità, sicurezza e futuro al lavoro, soprattutto nelle periferie del Sud.