Aveva solo 19 anni, Patrizio Spasiano. Un ragazzo del rione Berlingieri, cresciuto in una famiglia dove il senso del lavoro, della dignità e dell’onestà non erano parole vuote, ma radici forti. Un figlio di Secondigliano, uno di quelli che non si arrendono, che cercano la via più giusta anche quando è la più difficile. Uno che voleva imparare un mestiere, costruirsi una vita col sudore delle mani e la forza di chi sogna un futuro possibile.
Ma quel futuro è stato spezzato troppo presto. Patrizio è morto il 10 gennaio scorso, in un impianto industriale del Casertano, dove era stato mandato a lavorare senza le competenze necessarie, senza protezioni, senza formazione. La sua morte non è stata un incidente, ma il frutto di un sistema che abbandona i giovani, li espone al pericolo e poi si gira dall’altra parte quando succede l’irreparabile.
A raccontarlo, con voce spezzata ma ferma, è stata la madre di Patrizio, Simona Esposito, che il Primo Maggio è salita sul palco della manifestazione unitaria organizzata da Cgil, Cisl e Uil in piazza Municipio a Napoli. Non ha portato solo il suo dolore. Ha portato una verità che pesa come una condanna e che chiede di essere ascoltata da tutti, soprattutto da chi ha responsabilità istituzionali, politiche, imprenditoriali.
“Noi veniamo da Secondigliano, da un quartiere difficile,” ha detto la madre. “E abbiamo cresciuto i nostri figli con il senso del lavoro. E mio figlio così ha fatto. È andato a cercare lavoro. Voleva imparare un mestiere onestamente.”
Un messaggio potente, che parla anche a chi quel quartiere lo conosce da dentro. La famiglia di Patrizio era convinta che il ragazzo stesse iniziando il suo percorso in una piccola fabbrica dove avrebbe potuto apprendere il mestiere del saldatore in modo graduale e protetto. Era stato assunto da appena due mesi. Doveva osservare, imparare, formarsi. Così era stato promesso. Invece, con un gioco sporco di subappalti, Patrizio è stato inviato in un’altra sede, nella Frigocaserta Srl, a Gricignano d’Aversa.
Un luogo pieno di insidie, dove la manutenzione dei serbatoi contenenti ammoniaca richiede esperienza, protezioni e procedure rigorose. Ma lui era lì, solo, senza sapere nemmeno cosa stesse maneggiando.
Il 10 gennaio, mentre era su un trabattello, si è verificata una perdita di ammoniaca. Gli altri operai sono fuggiti. Patrizio è rimasto lì, investito dalla sostanza tossica, per ore. Con le mani sul volto, nel tentativo disperato di proteggersi. Nessuna tuta, nessuna maschera, nessun corso di sicurezza. Nulla. Solo la sua giovane età e la sua fiducia mal riposta.
“Mio figlio è stato ucciso”, ha detto la madre. “Non si tratta di incidente. È stato mandato a morire. Lo hanno mandato in un capannone pieno di ammoniaca, da solo, senza sapere neanche cosa fosse. E chi doveva proteggerlo non ha fatto niente”.
Parole dure, precise. Ma necessarie. Perché non si può più far finta di niente. Non si può accettare che un ragazzo di 19 anni venga mandato a lavorare in condizioni estreme senza formazione, in violazione palese delle norme sulla sicurezza, solo per far comodo a qualche azienda che vuole risparmiare.
È per questo che oggi Patrizio è diventato il simbolo di una battaglia più grande. Una battaglia che riguarda i diritti dei lavoratori, soprattutto dei più giovani e dei più esposti. Una battaglia che riguarda tutti i quartieri come il nostro, troppo spesso dimenticati, usati come serbatoio di manodopera sottopagata e sacrificabile.
Nel cuore di una piazza gremita, nel giorno che celebra i lavoratori, Simona Esposito ha restituito umanità e verità a una vicenda che qualcuno avrebbe voluto far cadere nel silenzio. Il suo discorso è stato un atto di amore e di giustizia. Per suo figlio. Per tutti i Patrizio che ogni giorno vanno a lavorare senza sapere se torneranno a casa.
Su questo blog, che prova a dare voce a chi spesso voce non ce l’ha, vogliamo dire forte che Patrizio non deve essere dimenticato. Che non può essere solo una croce su una lapide o una foto su una maglietta. Patrizio deve diventare un nome che pesa. Un esempio che costringe a cambiare le cose.
Secondigliano, il rione Berlingieri, le famiglie come quella di Simona, chiedono una sola cosa: giustizia. Giustizia per Patrizio. Giustizia per chi lavora. Giustizia per chi crede che lavorare non debba mai significare morire.
Perché chi cresce in un quartiere difficile, se trova la forza di scegliere la strada giusta, non può essere punito per questo. Patrizio aveva fatto la scelta giusta. Ma lo Stato, le aziende, le istituzioni non hanno fatto il loro dovere. E questo, ora, non si può più accettare.