La faida di Miano sta per conoscere la sua prima, attesa resa dei conti giudiziaria. Due paranze, due fronti della stessa camorra frammentata ma ancora letale, si sono fronteggiate per anni in una guerra a colpi di proiettili, droga e terrore, lasciando dietro di sé una scia di sangue, morte e paura. Ieri mattina, presso il Tribunale di Napoli, i presunti boss e gregari delle fazioni Pecorelli e Scognamiglio – considerate eredi dirette del potente clan Lo Russo – si sono ritrovati alla sbarra per ascoltare la requisitoria della Direzione Distrettuale Antimafia.
Il pubblico ministero ha invocato complessivamente diciassette condanne per un totale di quasi 270 anni di reclusione, un colpo durissimo, se accolto, che potrebbe infliggere un duro colpo alle organizzazioni che per anni hanno seminato il caos nei quartieri più esposti della città. Le richieste di pena sono severe, calibrate secondo il ruolo e il peso attribuito a ciascun imputato nell’ambito della guerra criminale che ha lacerato Miano tra il 2020 e il 2022. A rischiare le condanne più pesanti sono, prevedibilmente, i vertici delle due “holding” criminali, i capi e i killer principali, tra i quali spiccano nomi noti alle forze dell’ordine e già legati alle cronache giudiziarie degli anni passati.
Il pubblico ministero ha chiesto 14 anni per Antonio Castelluccio, 16 per Gennaro Catone, 7 per Drame Ousame Celentano, 16 per Cesare Duro, 18 per Luca Isaia, 16 per Giovanni Mascioli, 16 per Rosario Morisco, 16 per Mariano Natale, 18 per Fabio Pecoraro, 18 per Oscar Pecorelli detto “’o pastore”, 8 per Rosario Pecorelli, 14 per Pasquale Romano, 16 per Salvatore Ronga, 19 per Antonio Scognamiglio, 18 per Giovanni Scognamiglio, 20 per Gennaro Sepe e 17 per Bernardo Torino. Nei prossimi giorni sarà il turno delle difese, con i legali degli imputati – tra cui gli avvocati Rocco Maria Spina, Domenico Dello Iacono e Dario Carmine Procentese – che proveranno a limitare i danni e smontare l’impianto accusatorio costruito nel corso di un’indagine articolata e complessa, frutto di anni di lavoro investigativo. La sentenza del giudice dell’udienza preliminare è attesa per l’inizio di luglio, in un clima che si preannuncia teso e carico di aspettative, anche per le ricadute che tale decisione potrebbe avere sull’equilibrio criminale del territorio.
L’indagine, avviata nel 2021 e conclusa a giugno dell’anno scorso con l’esecuzione di 19 misure cautelari – di cui 18 arresti e un divieto di dimora – rappresenta una delle più importanti offensive dello Stato contro la camorra “di quartiere”, quella più pericolosa perché radicata e capace di muoversi con rapidità e violenza. L’inchiesta ha fatto luce su una guerra sanguinosa tra due fazioni criminali ben distinte, ma accomunate dalla stessa origine: il disfacimento del clan Lo Russo, un tempo padrone incontrastato della zona. Dalle sue ceneri sono sorte le paranze dei Pecorelli-Catone e degli Scognamiglio, in lotta per il controllo delle piazze di spaccio, delle estorsioni e del consenso sociale.
Una faida che ha mietuto vittime, tra cui Salvatore Milano e Antonio Avolio, due nomi che oggi diventano simbolo di una scia di sangue ancora viva nei ricordi del quartiere. Salvatore Milano fu ucciso il 22 aprile 2021 mentre beveva un caffè in un bar di Miano. Secondo la ricostruzione dell’accusa, fu individuato da Carlo Perfetto, che lo segnalò ai killer. Poco dopo, Giovanni Scognamiglio e Fabio Pecoraro entrarono nel locale e aprirono il fuoco, colpendo a morte il loro bersaglio, ritenuto vicino alla fazione avversa ma non direttamente coinvolto nella guerra. Per l’agguato sono indagati anche Salvatore Ronga e Bernardo Torino. Due mesi più tardi, il 24 giugno 2021, un’altra esecuzione. Antonio Avolio viaggiava in scooter quando si avvicinò a lui Luca Isaia.
Il giovane non si insospettì e non ebbe il tempo di reagire: fu colpito alla testa e morì sul colpo. Anche in questo caso, secondo gli inquirenti, l’obiettivo iniziale era un altro: Oscar Pecorelli, detto “’o pastore”, boss della fazione rivale. Poiché era impossibile trovarlo, i killer avrebbero scelto una vittima “di ripiego”, ritenuta comunque vicina al gruppo da colpire. Oltre al presunto esecutore materiale, sono accusati dell’agguato Emmanuele Palmieri, Fabio Pecoraro, Salvatore Ronga, Pasquale, Antonio e Giovanni Scognamiglio. La guerra tra i clan è stata seguita e documentata passo dopo passo dagli investigatori, che hanno ricostruito summit, alleanze, tradimenti, strategie e delitti grazie a intercettazioni, pedinamenti e testimonianze. Il contesto è quello di un territorio ferito e stremato, dove la camorra continua a esercitare il suo potere attraverso la violenza, il controllo del territorio e l’intimidazione. Una Napoli che ancora oggi fatica a liberarsi dalla morsa della criminalità organizzata, e dove interi quartieri restano ostaggio della legge del più forte.
Il processo in corso potrebbe rappresentare un passaggio decisivo per riportare legalità in una zona martoriata da decenni di dominio criminale, ma anche una prova della capacità dello Stato di disarticolare le nuove generazioni di camorra, spesso più spregiudicate e pericolose delle precedenti. Il lavoro della Dda e delle forze dell’ordine ha sollevato il velo su una realtà inquietante, fatta di ragazzini armati, faide per il controllo delle piazze, e una ferocia che non conosce limiti.
Le aule di tribunale, ora, sono chiamate a chiudere un capitolo e a scrivere un verdetto che potrebbe avere conseguenze profonde e durature. Mentre i quartieri di Miano attendono giustizia, con la speranza che la fine della faida segni anche l’inizio di un nuovo corso.