Anche in punto di morte, Gelsomina Verde non ha mai smesso di mostrare il suo disprezzo per i suoi carnefici. Lei, una giovane donna che nulla aveva a che fare con le faide di camorra, è stata brutalmente uccisa il 21 novembre 2004 dal clan Di Lauro, che la cercava per estorcere informazioni sull’ex fidanzato Gennaro Notturno. Gelsomina, con dignità e coraggio, ha rifiutato di collaborare con i suoi assassini.
Le indagini condotte dai magistrati durante la prima faida di Scampia hanno subito chiarito che Gelsomina non aveva legami con il mondo della criminalità organizzata. La sua unica "colpa" era quella di essere l'ex fidanzata di un uomo ricercato. Nonostante questo, per oltre vent'anni, Gelsomina Verde non è stata riconosciuta dallo Stato come vittima innocente della camorra a causa di una lontana parentela con un individuo coinvolto in un’inchiesta sui Casalesi. Questa circostanza ha impedito ai suoi familiari di accedere ai benefici previsti dalla legge per le vittime di mafia.
Finalmente, l’ultimo ostacolo è stato rimosso. La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 2-quinquies del decreto legge del 2008, limitatamente alle parole «parente o affine entro il quarto grado». Questo vincolo era ciò che aveva impedito a Gelsomina Verde di essere riconosciuta come vittima innocente, nonostante fosse stata brutalmente uccisa e data alle fiamme all'interno della sua auto. Il padre di Gelsomina, Michele Verde, aveva un cugino che era stato indagato, ma mai condannato o arrestato, in un'inchiesta sul clan dei Casalesi. Questo tenue legame di parentela era stato sufficiente per negare il riconoscimento richiesto dalla madre di Gelsomina, Anna Lucarelli, e dal fratello Francesco Verde.
La svolta è arrivata nel 2023, quando la Corte di Appello di Napoli ha accolto l'eccezione di costituzionalità sollevata dall'avvocato Liana Nesta, sospendendo il giudizio e trasmettendo gli atti alla Corte Costituzionale. La decisione della Corte, depositata il 21 maggio scorso, è stata una condanna netta del criterio ostativo basato sui vincoli familiari fino al quarto grado. La sentenza sottolinea come la latitudine di tale criterio presuntivo possa ingiustamente presupporre contiguità con il circuito criminale, nonostante l'assenza di qualsiasi legame effettivo o frequentazione.
Secondo la Corte Costituzionale, il carattere assoluto della condizione ostativa pregiudica coloro che si sono dissociati dal contesto familiare e hanno scelto una vita lontana dalla criminalità, spesso sperimentando isolamento e perdite dolorose. La presunzione assoluta, così strutturata, si configura come uno stigma ingiustificato. Sarà ora compito dei giudici valutare con attenzione la meritevolezza di chi richiede i benefici previsti dalla legge.
L'avvocato Liana Nesta ha espresso la sua soddisfazione dopo anni di battaglie legali: «Questa sentenza rappresenta un grande risultato e speriamo che la Corte di Appello ci riconosca finalmente questo diritto. Ci sarà un risarcimento del danno da calcolare e la mia speranza è che la mamma di Mina, da tempo ammalata, riesca a godere di questo risultato. Sarebbe bello che venisse anche dedicato un murale a Mina e ci siamo già attivati in questo senso».
Anche il pubblico ministero Giovanni Corona, il magistrato che per primo ha indagato sull’omicidio di Gelsomina e ha fatto arrestare i suoi killer, ha commentato la decisione con un sorriso amaro: «La decisione della Consulta mi rasserena. La Corte, dopo tanti anni, ha posto rimedio a una disfunzione paradossale. Una responsabilità oggettiva, come una lontana parentela, non legittimava il riconoscimento di Mina come vittima innocente. Oggi è stata superata un’impasse e si compie un balzo in avanti per il riconoscimento dei diritti di chi ha perso qualcuno in maniera così brutale».
Gelsomina Verde è finalmente riconosciuta come vittima innocente della camorra. Un atto di giustizia che rende onore alla sua memoria e dona sollievo ai suoi familiari, che per troppo tempo hanno atteso questo riconoscimento.