Nuovo grave episodio di violenza all’interno della casa circondariale di Napoli-Secondigliano, dove sabato pomeriggio un giovane detenuto di origine marocchina, poco più che ventenne, ha prima dato fuoco alla propria cella e poi aggredito quattro agenti della Polizia Penitenziaria, tra cui l’ispettore addetto alla sorveglianza interna. L’intervento tempestivo degli operatori ha evitato conseguenze peggiori, ma due poliziotti sono stati costretti a ricorrere a cure mediche, con prognosi di dieci giorni. A rendere nota la vicenda sono stati il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (SAPPE) e la Confederazione Sindacati Penitenziaria (CON.SI.PE.), che hanno denunciato l’ennesimo caso di violenza nelle carceri italiane e, in particolare, in un istituto già al centro di diverse segnalazioni per le condizioni di lavoro del personale.
Secondo quanto riferito dai sindacalisti Raffaele Munno e Donato Viaia, segretari del SAPPE, l’uomo protagonista del gesto violento era già noto per comportamenti simili, anche durante un precedente ricovero in ospedale, dove aveva già evidenziato atteggiamenti pericolosi. Dopo aver appiccato le fiamme nella propria cella, l’incendio è stato prontamente domato grazie alla prontezza e alla professionalità della Polizia Penitenziaria in servizio, che ha messo in sicurezza l’intero reparto. Ma proprio durante le fasi successive, in particolare nel momento della perquisizione personale e del trasferimento per verificare l’eventuale possesso di accendini o altri oggetti pericolosi, il detenuto ha improvvisamente aggredito gli agenti con violenza, ferendo quattro operatori tra cui un ispettore di sorveglianza.
Le condizioni degli agenti non sono gravi, ma due di loro hanno riportato lesioni che richiederanno diversi giorni di riposo. Una situazione che riaccende i riflettori sulle condizioni di sicurezza del personale penitenziario, chiamato quotidianamente a gestire detenuti con profili psichiatrici, problematici o violenti, spesso senza gli strumenti adeguati e con turni di lavoro estenuanti. A questo si aggiunge un ulteriore dettaglio denunciato dai sindacati: gli agenti coinvolti sarebbero stati mandati da soli in ospedale, a fine turno, con un semplice permesso orario. Una prassi che i rappresentanti del personale definiscono grave e irresponsabile, segno di una gestione organizzativa che non tiene conto del rischio concreto al quale sono esposti gli operatori della sicurezza.
Dura la posizione del segretario generale del SAPPE, Donato Capece, che ha parlato di condotta “gravissima e irresponsabile” da parte del detenuto, ma anche di una condizione strutturale che da anni mette a dura prova chi lavora negli istituti penitenziari italiani. Capece ha rilanciato alcune delle storiche richieste del sindacato: in primis, l’espulsione dei detenuti stranieri per far scontare la pena nei Paesi d’origine, così da ridurre il sovraffollamento e i carichi di lavoro interni. Inoltre, il SAPPE chiede la riapertura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari per gestire adeguatamente i detenuti affetti da patologie mentali, spesso responsabili di comportamenti violenti e ingestibili con i mezzi attualmente a disposizione delle strutture carcerarie. Infine, tra le proposte figura anche la dotazione di strumenti di difesa non letali, come i flash ball e i bola wrap, che permetterebbero agli agenti di contenere situazioni aggressive senza dover ricorrere al contatto fisico, spesso rischioso.
Sulla stessa linea anche il CON.SI.PE., che ha espresso solidarietà e vicinanza ai colleghi feriti e ha chiesto misure urgenti e concrete per tutelare la sicurezza di chi lavora negli istituti penitenziari. Il sindacato ha ribadito la necessità di investimenti strutturali e organizzativi, sottolineando che episodi come quello di Secondigliano non sono più eccezioni, ma rappresentano una pericolosa normalità. A sostegno di questa tesi viene citato un altro momento critico verificatosi solo due giorni prima dell’episodio in questione, presso il Padiglione T2 dello stesso carcere, dove si è registrata una forte tensione interna, poi fortunatamente rientrata grazie all'intervento degli agenti.
L’intero quadro restituisce un'immagine preoccupante delle condizioni operative nelle carceri, in particolare in quelle del Sud, dove il numero di detenuti spesso supera la capienza regolamentare, e dove il personale penitenziario lavora in sottorganico, con turni pesanti e strumenti di lavoro insufficienti. Il carcere di Secondigliano, in particolare, torna quindi sotto i riflettori non solo per l’ennesimo episodio di violenza, ma anche per le criticità organizzative e gestionali che lo rendono ogni giorno teatro di rischi elevati per gli operatori. A fronte di tutto ciò, i sindacati chiedono con forza che lo Stato dia un segnale chiaro, con interventi concreti che restituiscano dignità, sicurezza e tutele a chi, ogni giorno, svolge un lavoro delicato e indispensabile, troppo spesso dimenticato dai vertici istituzionali.
Nel frattempo, si attende che le autorità competenti facciano piena luce sull’accaduto, accertino le responsabilità e, soprattutto, mettano in atto misure idonee a evitare il ripetersi di situazioni simili, in un carcere che troppo spesso finisce al centro delle cronache non per episodi di rieducazione, ma per violenze, incendi e aggressioni. La richiesta dei sindacati, e in particolare del SAPPE, è chiara: serve una presenza forte dello Stato, con provvedimenti urgenti e mirati che pongano fine a quella che viene definita una pericolosa impunità diffusa all’interno degli istituti penitenziari italiani.