La zona Nord di Napoli si tinge ancora una volta di rosso, non per il sangue umano versato in qualche faida di camorra, ma per quello – invisibile e silenzioso – di creature innocenti: gattini randagi, cuccioli di pochi mesi, vittime di una crudeltà che non conosce tregua. È quanto sta accadendo a Miano, precisamente in Via Vincenzo Janfolla, dove una colonia felina curata con amore e dedizione da una volontaria del posto è stata decimata nel giro di pochissimo tempo. Il sospetto, sempre più fondato, è quello dell’avvelenamento: i resti di cibo rinvenuti accanto ai corpi privi di vita dei piccoli felini parlano chiaro. Non erano pasti abituali, non erano stati mai portati prima. E le morti, improvvise e ravvicinate, non lasciano spazio a molti dubbi.
La voce rotta dalla rabbia e dalla tristezza è quella della volontaria che per anni si è presa cura di questi animali. “Stanno avvenendo delle morti improvvise, sono gatti randagi di tenera età. La legge li tutela, ma purtroppo in zona ci sono persone malate che li detestano, a tal punto da ucciderli.” Parole pesanti, che squarciano il velo dell’indifferenza e puntano il dito contro chi, in modo vile e codardo, si accanisce contro gli animali indifesi. Perché è facile odiare chi non può difendersi, è facile tendere una trappola a chi si fida, è facile avvelenare chi guarda l’uomo ancora con fiducia, nonostante tutto.
La segnalazione è arrivata anche all’Asl veterinaria tramite il deputato Francesco Emilio Borrelli, da sempre in prima linea contro il maltrattamento degli animali. “Abbiamo chiesto che venga verificata la presenza di veleno nel cibo rinvenuto accanto ai corpi – ha dichiarato – e che si proceda con un’autopsia sui gatti deceduti per capire se effettivamente si tratti di avvelenamento. Questa colonia dovrà essere tutelata e curata. Basta torture, sevizie, maltrattamenti e barbarie: occorre cambiare mentalità e modus operandi, perché la carta, senza nessuno che sappia o voglia leggerla, non canta, è muta.”
Parole forti, ma giuste. Perché ogni giorno, in Italia, centinaia di animali randagi – cani, gatti, perfino volatili o ricci – vengono uccisi, mutilati, presi a bastonate, gettati via come rifiuti. E quando l’odio colpisce creature così piccole e fragili, la responsabilità collettiva è pesante. Soprattutto se le istituzioni, salvo poche eccezioni, continuano a voltarsi dall’altra parte.
Il caso della colonia felina di Miano non è un episodio isolato. Non è una parentesi da dimenticare. È un sintomo. Il sintomo di un disagio sociale profondo, che sfoga la propria frustrazione su chi non può difendersi. È la manifestazione di un’aridità emotiva che si trasforma in violenza. È il segnale che qualcosa nella società è profondamente rotto. Se si arriva ad avvelenare dei gattini, cuccioli che nulla hanno fatto se non esistere, vuol dire che il livello di disumanizzazione ha toccato livelli preoccupanti. Eppure, ancora una volta, si tratta solo di gatti. Randagi. Invisibili. E allora tutto si risolve in una notizia breve, un trafiletto, una dichiarazione che non avrà seguito.
Ma non dovrebbe andare così. Perché la legge esiste. La tutela degli animali è prevista da norme precise: il reato di maltrattamento e uccisione di animali è punito dal codice penale. Ma troppo spesso, come sottolinea Borrelli, le leggi restano lettera morta. “La carta, senza nessuno che sappia o voglia leggerla, non canta, è muta.” E allora serve un cambio culturale. Serve educazione. Serve empatia. Serve una rivoluzione del cuore.
Chi avvelena un gatto non è solo un criminale. È una persona pericolosa, potenzialmente per chiunque. Diversi studi psicologici e criminologici lo confermano: la violenza sugli animali è spesso l’anticamera della violenza sugli esseri umani. È un campanello d’allarme che non va ignorato. Ed è per questo che ogni gesto di crudeltà, ogni abuso, ogni morte sospetta andrebbe investigata con la stessa serietà con cui si indagherebbe su un crimine contro un bambino. Perché i gatti di quella colonia erano creature vive. Respiravano. Provavano dolore. Cercavano affetto.
Oggi, invece, restano solo corpi senza vita. Sparsi sul cemento. Tra resti di cibo adulterato e occhi che non si chiuderanno più. Restano solo lacrime di chi li ha amati. E la rabbia, impotente, di chi ha provato a proteggerli. Ma anche la speranza che questa volta non finisca tutto nel dimenticatoio. Che la denuncia non sia solo un atto formale. Che l’autopsia venga fatta davvero. Che qualcuno venga trovato, identificato, punito. Che le istituzioni, finalmente, si accorgano che esistono anche loro: i randagi, gli invisibili. Che meritano rispetto. Che meritano vita.
Chi ha colpito la colonia felina di Via Vincenzo Janfolla ha colpito tutta la città. Ha infangato Napoli, che ha mille problemi, ma anche mille storie di amore per gli animali, mille volontarie e volontari che si fanno in quattro per dare una ciotola e una carezza. Napoli non è quella dei veleni. Napoli è quella dei rifugi improvvisati, delle cassette di cartone con la coperta, dei bambini che si fermano a dare una carezza. È quella che resiste all’odio con piccoli gesti d’amore quotidiani. Ed è quella che, oggi, chiede giustizia. Perché una strage di gattini non può essere solo una triste notizia. Deve essere il punto di partenza per dire: mai più.
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