Attilio Romanò era un giovane uomo di soli 29 anni, una persona perbene, un lavoratore onesto e appassionato della sua Napoli. Il 24 gennaio 2005, però, il destino gli riservò una fine tragica e ingiusta: Attilio perse la vita in un episodio di camorra, un omicidio assurdo scaturito da un terribile scambio di persona. Quella data, ormai incisa a fuoco nella memoria collettiva, segna uno dei tanti crimini che hanno macchiato la storia della città, un simbolo di innocenza spezzata che ci ricorda quanto sia dolorosa la lotta contro la criminalità organizzata.
Napoli, con il suo fascino contraddittorio, è una città in cui convivono bellezza e difficoltà, tradizione e tensioni sociali. È nel quartiere di Miano che Attilio viveva e lavorava, lontano da quel mondo oscuro che troppo spesso si insinua nelle vite degli altri. La sua storia, però, è una delle tante che dimostrano come la camorra, nella sua logica di sangue e vendetta, non faccia distinzione tra colpevoli e innocenti. In quegli anni, il quartiere di Secondigliano era teatro della prima faida di camorra tra i Di Lauro e gli Scissionisti, una guerra feroce per il controllo del traffico di droga nell'area nord di Napoli.
Attilio non era un affiliato, né un complice. Era un uomo comune, un lavoratore che cercava solo di costruirsi un futuro. Quel lunedì di gennaio, stava lavorando nel suo negozio di telefonia quando il killer, Mario Buono, entrò per uccidere il titolare del negozio, Salvatore Luise, nipote del boss Rosario Pariante, passato dalla parte degli Scissionisti. Ma Luise quel giorno non era presente, e Attilio si trovò tragicamente al posto sbagliato nel momento sbagliato. Buono, conosciuto come “Topolino” e appena maggiorenne all'epoca, non esitò a sparare, rendendosi conto solo dopo di aver colpito la persona sbagliata. La sua fuga durò poco: fu arrestato a Lecce qualche giorno dopo.
L’omicidio di Attilio Romanò resta senza un mandante certo. La Suprema Corte di Cassazione ha annullato l'ergastolo per Marco Di Lauro, figlio del boss Paolo, ribaltando la sentenza che lo indicava come il mandante del delitto. Le dichiarazioni contrastanti dei collaboratori di giustizia e l'insufficienza di prove hanno reso necessaria la celebrazione di un nuovo processo d’appello. Una giustizia incompleta, che non riesce a dare pieno conforto ai familiari di Attilio.
Chi era davvero Attilio Romanò? Era un uomo semplice, ma straordinario nella sua umanità. La sua famiglia, i suoi amici e i conoscenti lo ricordano come un gigante buono, sempre pronto ad aiutare gli altri. La sorella Maria lo definì un “multiuso” per la sua capacità di essere presente in ogni situazione, sia nei momenti felici che in quelli difficili. Era una persona solare, capace di creare armonia anche nei contesti più tesi. Un uomo dotato di una rara empatia, sempre disponibile a tendere una mano o a offrire una parola di conforto.
Oggi, a vent'anni dalla sua scomparsa, Attilio viene ricordato come una vittima innocente della violenza camorristica. Il suo nome si unisce a quello di tante altre vite spezzate da un sistema criminale che troppo spesso si nutre del sangue di persone estranee a quel mondo. Attilio non è stato dimenticato, e la sua memoria è custodita con amore da chi lo ha conosciuto e da chi si batte per una Napoli libera dalla criminalità.
Ricordare Attilio Romanò non significa solo rendere omaggio a una vita spezzata, ma anche riflettere sul valore della giustizia e sull’importanza di combattere ogni giorno contro l’indifferenza. La sua storia è un monito per tutti noi, un invito a non abbassare mai la guardia e a lottare per un futuro in cui episodi come questo non abbiano più luogo. Attilio, il tuo ricordo sarà sempre vivo, un faro di speranza in una città che non smetterà mai di piangerti.